Meglio soli che accompagnati da Bersani e D’Alema? Uno spettro si aggira, di nuovo, per gli uffici del Nazareno: quello di una separazione che comporterebbe un costo altissimo in termini di voti, incrinando anche l’ immagine del Partito democratico e del suo segretario, il premier Matteo Renzi. O no? Perché c’è pure chi pensa che una scissione conclusa al momento giusto potrebbe addirittura rappresentare un discreto vantaggio per Renzi. Il professor Renato Mannheimer ritiene che il futuro di Renzi e del Pd graviti inevitabilmente intorno al risultato della consultazione popolare che si terrà il 4 dicembre. «Tutto dipende dall’esito del referendum costituzionale che sta spostando le diverse opinioni anche all’interno dei partiti - spiega il sondaggista - Era già accaduto con il referendum sul divorzio che provocò uno stravolgimento del quadro politico».
L’eventuale prevalere del Sì annullerebbe l’effetto scissione. «Se Renzi incassa la vittoria al referendum anche una scissione non avrebbe conseguenze gravi - prosegue Mannheimer - Renzi con l’uscita degli esponenti più a sinistra allargherebbe il suo raggio di consensi al centro moderato». Con la vittoria del No invece il quadro si capovolge. «Se passasse il No sono convinto che assisteremmo ad una ricomposizione del sistema politico - conclude Mannehimer - E la scissione rappresenterebbe un doppio evento negativo, durissimo per il premier. In ogni caso gli scissionisti non andrebbero lontano prenderebbero pochi voti come sempre accade a chi si pone agli estremi». E in effetti un calcolo di quanto potrebbe valere un partito di fuoriusciti a sinistra del Pd eseguito da Nando Pagnoncelli qualche mese fa valutava un bacino di elettori potenziale del 9 per cento. L’ipotesi della scissione non andrà lontano per Alessandra Ghisleri direttrice di Euromedia Research. «Non credo ad una separazione che costerebbe molto cara ad entrambe le parti - sostiene la Ghisleri - Non si può lasciare una storia così importante, una tradizione così radicata senza pagarne le conseguenze. La scissione sarebbe penalizzante per tutti». Il Pd ha attraversato molti cambiamenti, osserva la Ghisleri, «ma lungo questi passaggi si è sempre riconosciuto in quella bandiera. È un partito che si confronta in modo duro ma poi vota in base all’indicazione del partito».
Per Roberto Weber, presidente di Ixè, una scissione non peserebbe tanto in termini di voti per Renzi. «Una formazione a sinistra del Pd non raccoglierebbe molti voti visto che in tanti hanno già scelto M5S o l’astensione - dice Weber - Però colpirebbe l’immagine di Renzi sul piano simbolico perché dimostrerebbe la sua incapacità come leader di tenere unito il partito e questo non gli farebbe sicuramente guadagnare consenso». Weber ricorda che con i voti presi alle europee Renzi ha già dimostrato di essere in grado di pescare voti nell’area moderata e la scissione non aprirebbe nuovi spazi e l’esito sarebbe negativo per tutti.
Nicola Piepoli, fondatore dell’Istituto Piepoli, cita il giornalista di regime Mario Appelius: «La guerra la vince chi non la fa». Come a dire che in una scissione del Pd ci sarebbero solo sconfitti e nessun vincitore. «Se nascesse un altro partito alla sinistra del Pd certamente Renzi non ne sarebbe favorito» dice Piepoli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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