Camilla Conti«Siamo in ottimi rapporti con la Libia» e «non penso che aumenteranno la propria quota» anche perché ora hanno «altre priorità». Così parlava il presidente di Unicredit, Giuseppe Vita, il 14 maggio del 2015 a margine dell'assemblea della banca milanese. Vita era reduce dall'incontro con i vertici della Banca Centrale Libica e della Libyan Investment Authority (Lia). Ovvero le due vere casseforti del Paese. Che hanno fatto «affari beduini» anche a casa nostra: entrambe sono azioniste dell'istituto guidato da Federico Ghizzoni con rispettivamente il 2,9% e l'1,25% del capitale. Con 2,5 miliardi di dollari, gli investimenti in Italia della sola Lia costituiscono il 30% circa del portafoglio azionario del fondo sovrano e vanno dal petrolio dell'Eni, alle infrastrutture passando per l'energia e le telecomunicazioni.Il problema è che le priorità - di cui parlava Vita a primavera dell'anno scorso - sono cambiate sia per la Libia sia per l'Italia. Il fondo Lia non deve fare i conti solo con la guerra all'Isis ma anche con la Corte Suprema delle isole Bermuda che ha vietato il riscatto di 100 milioni di dollari depositati dai libici in un conto della Hsbc mentre sono state avviate cause legali per recuperare somme consistenti a Malta e in altri paradisi fiscali dai figli del colonnello Gheddafi.Ma la partita decisiva è quella iniziata ieri davanti all'Alta Corte di Londra che dovrà decidere entro fine mese chi è il legittimo gestore della Lia: se il rappresentante del governo di Tobruk, Hassan Bouhadi,(forte del sostegno di Egitto, Emirati, Arabia Saudita, Francia e Regno Unito) o Abdulmagid Breish che rappresenta il governo di Tripoli (dove si trova gran parte dei pozzi dell'Eni) ed è appoggiato da Qatar e Turchia. Il verdetto dei magistrati inglesi potrebbe avere conseguenze importanti per Goldman Sachs e Société Generale accusate da Lia di aver gestito in modo improprio 3 miliardi di dollari dello stesso fondo sovrano. Ma anche per l'Italia: chi controlla o controllerà, in mezzo al caos, le quote libiche rimaste in pancia alle big tricolori? Perché alla comunità degli affari manca un quadro chiaro delle strategie e soprattutto l'interlocutore.
Ma a Piazza Affari si domandano anche come si muoverà il legittimo gestore di queste quote che verrà individuato dal giudice inglese: manterrà le partecipazioni italiche o farà cassa vendendo i pacchetti azionari?Nella City milanese hanno le antenne alzate ma anche a Palazzo Chigi dove a svolgere il ruolo di «ambasciatore» renziano per gli affari a Tripoli pare sia Leonardo Bellodi, ex capo delle relazioni istituzionali dell'Eni, che l'anno scorso ha fondato Cys4, una spa dedicata alla sicurezza informatica, insieme al ricercatore digitale Andrea Stroppa e a un altro esperto di start up tecnologiche che della nuova società è diventato presidente oltre ad esserne azionista: Marco Carrai, presidente degli aeroporti toscani ma conosciuto per il suo forte legame con il premier.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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