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Scontro sul terzo mandato. Meloni "minaccia" Salvini

L'emendamento della Lega divide la maggioranza. L'ipotesi del voto e i timori di sorprese da Pd e M5s

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Il palco, quello a favore di telecamere e taccuini, racconta unità e sintonia. Ed è questa l'immagine che rimanderanno Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani quando, mercoledì prossimo alle 16.30, si ritroveranno tutti insieme al Padiglione E della Fiera di Cagliari per chiudere la campagna elettorale di Paolo Truzzu, candidato del centrodestra alla presidenza della Sardegna. Un appuntamento in agenda da giorni ma che, forse non per caso, ancora non ha il via libera ufficiale di Palazzo Chigi. Già, perché nel retropalco il clima è molto meno affiatato di quel che raccontano le dichiarazioni pubbliche. Con una crescente tensione tra Meloni e Salvini e con Tajani che gioca di sponda con la premier. È uno schema che va avanti da tempo e che ha avuto il suo culmine nell'emendamento che la Lega ha presentato al dl Elezioni con l'obiettivo di consentire un terzo mandato ai governatori. Il cosiddetto «lodo-Zaia», che permetterebbe al «doge» di ricandidarsi un'ultima volta in Veneto nel 2025.

Sul punto spinge con forza Salvini. E frenano con altrettanta decisione Meloni e Tajani. I motivi sono molteplici. Intanto la premier vorrebbe candidare in Veneto il coordinatore regionale di Fdi Luca De Carlo («non abbiamo la presidenza di alcuna regione del Nord e io sono pronto», spiegava ieri). Senza contare che in questo modo Salvini si troverebbe a dovere gestire la grana di un ingombrante Luca Zaia (per il quale si vocifera come piano B di una candidatura alla presidenza del Coni quando, a maggio 2025, scadrà Giovanni Malagò). E poi c'è il capitolo opposizioni, visto che il terzo mandato permetterebbe a Vincenzo De Luca e Michele Emiliano di ricandidarsi in Campania e Puglia, due regioni dove - senza gli uscenti in campo - il centrodestra può giocarsela. Per tutte queste ragioni il «no» di Meloni al terzo mandato è granitico. E pazienza se ne beneficerebbe anche il governatore ligure Giovanni Toti, che - racconta il tam tam di ministri e deputati in Transatlantico - sarebbe in predicato di passare in Fdi.

Dopo le tensioni sul Milleproroghe e le incomprensioni sull'Irpef agricola, dunque, il contrasto tra Meloni e Salvini rischia di esplodere proprio sul terzo mandato. Perché l'emendamento è stato ormai presentato e la prossima settimana gli Affari costituzionali dovranno necessariamente occuparsene. Quindi o la Lega lo ritira oppure il governo dovrà scegliere se dare parere contrario o oppure rimettersi alla Commissione. Con il rischio che Pd e M5s si mettano in scia del Carroccio per spaccare la maggioranza. Non è un caso che ben due ministri raccontino di una Meloni «piuttosto irritata». Il leghista Riccardo Molinari parla di «un gioco di Fdi che non vuole il terzo mandato», mentre il vicesegretario del Carroccio Andrea Crippa insiste sulla necessità di approvare l'emendamento e punta il dito sul Veneto («dicono no per De Carlo?»). Un forcing che trova lo stop di Tommaso Foti. «Non ci sono i requisiti di necessità e urgenza», spiega il capogruppo alla Camera di Fdi. Mentre da Palazzo Chigi sottolineano che anche negli emendamenti al dl sul premierato c'è la previsione di soli due mandati e non si capisce perché i governatori di Regione dovrebbero avere un regime diverso.

Per evitare il redde rationem si era ipotizzato di dichiarare inammissibile l'emendamento, scenario che Alberto Balboni, presidente della Commissione in quota Fdi, smonta a sera. Insomma, se la Lega non lo ritirerà - è la linea di Meloni - si andrà al voto. Con il rischio che la maggioranza si spacchi. E il timore di imboscate da parte di Pd e M5s. Per questo si continuerà a trattare per cercare soluzioni meno rischiose.

In attesa di vedersi, forse, mercoledì pomeriggio a Cagliari.

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