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La scoperta delle élite: abbiamo sbagliato. Da Letta a De Benedetti la gara dei mea culpa

La classe dirigente di sinistra si accorge dei suoi errori. Con decenni di ritardo

La scoperta delle élite: abbiamo sbagliato. Da Letta a De Benedetti la gara dei mea culpa

Le élite hanno finalmente scoperto di che è la colpa: delle élite. Finalmente un'autocritica, anche se in clamoroso ritardo? Non proprio, perché le élite sono sempre gli altri. Eppure da giorni, con un sincronismo perfetto, fior di scrittori, illustri professori, fini politologi, influenti capitani d'industria, ex premier, ex editori di giornali, insomma i massimi rappresentanti della classe dirigente italiana che con le élite sotto processo ha avuto grande confidenza, essendo loro stessi quella élite, fanno invece a gara a dolersi perché l'élite non ne hanno azzeccata una. Che sia questo, l'antielitarismo finora considerato sinonimo di populismo destrorso alla Trump, il nuovo vezzo da esibire per essere ammessi nell'élite? Persino il capo dello commissione Ue Juncker si è pentito della durezza dell'austerity («Abbiamo insultato i greci, l'austerità fu avventata»). L'ex premier Pd Enrico Letta, sempre caro alle élite italiane, fa sapere nel suo nuovo libro scritto dall'«esilio» dorato di Parigi che i sovranisti hanno vinto per colpa degli errori delle élite, colpevoli di «un mix tossico di autoconservazione e machiavellismo politico». Qualcuno potrebbe obiettare al direttore della scuola di Affari internazionali di «Sciences Po» che il rimprovero poteva farlo direttamente alle élite (banchieri, manager di Stato, lobbisti, grande industria, classe dirigente varia) accorse in passato al suo think tank Vedrò. Ma sarebbe un accanimento ingiusto verso l'ex premier scelto (e poi scaricato) da Napolitano, perché Letta si ritrova in numerosa compagnia e tutta di livello.

In effetti il mea culpa delle élite sulle élite era partito sulle colonne del Corriere della Sera a firma di Ernesto Galli della Loggia. L'editorialista è tormentato da tempo, tanto da aver votato Virginia Raggi nel 2016, e in ben due articoli nel giro di pochi giorni ha spiegato il perché: «Se l'ondata nazionalista-identitaria si va tanto rafforzando in Europa ciò accade in buona misura per una ragione ovvia quanto spesso ignorata: e cioè per il fallimento delle élite tradizionali del continente», specie quella italiana caratterizzata da «conformismo, ostilità a ogni cambiamento e provenienza ideologica di centrosinistra». Il cruccio è condiviso, su Repubblica, dallo scrittore Alessandro Baricco, già simpatizzante renziano in quota Eataly, ora pentito di averlo «scambiato per uno che non c'entrava con le élites», mentre il dramma qui è che «è andato in pezzi un certo patto tra le élites e la gente» e bisogna iniziare ad «accorgersi del casino che abbiamo combinato», noi élite. Ad (auto)accusare la classe dirigente c'è anche Carlo De Benedetti: «Quanto alle élite europee, credo che sia necessaria un'autocritica - dice l'ex editore di Repubblica al Sole24Ore - Negli ultimi 20 anni siamo stati tutti troppo innamorati della globalizzazione e delle nuove tecnologie. Tenendo in scarsa considerazione i danni che questa combinazione di fattori avrebbe avuto sui lavoratori. Politicamente, la responsabilità di questa accettazione acritica della globalizzazione è da attribuire a Blair e al blairismo che ha contagiato la sinistra europea».

Proprio Blair un tempo campione della terza via riformista, ora simbolo del fallimento elitario della sinistra.

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