Se la carriera fa litigare le mamme

Per la dirigente di Facebook le donne non si assumono rischi. Per la manager di Obama è colpa del welfare

Se la carriera fa litigare le mamme

Mamma e top manager, si può? Negli Usa tiene banco la questione se sia possibile conciliare maternità e carriera. Le chiamano mummy wars : è la lotta quotidiana che ogni donna affronta tra incombenze familiari e d'ufficio. Da una parte c'è l'impulso a prendersi cura delle persone care; dall'altra il desiderio di realizzarsi nella professione. Scendono in campo due pesi da novanta come Sheryl Sandberg e Anne-Marie Slaughter. La prima è il direttore operativo di Facebook, 45 anni, una delle cento persone più influenti per Time e una delle cinquanta businesswomen più potenti del mondo per Fortune . Nel 2013 Sandberg pubblica Lean in: women, work and the will tolead , il suo primo libro e best-seller che la consacra come guru planetaria delle mamme in carriera. La constatazione iniziale è la seguente: trent'anni dopo che le donne sono diventate il 50 per cento dei laureati americani, gli uomini rimangono saldi ai vertici dell'industria e della politica. «La colpa - scrive l'autrice - è di noi donne che non proviamo abbastanza. Ci autocensuriamo e siamo insicure. Non alziamo la mano quando dovremmo». Il soffitto di cristallo si può infrangere, basta volerlo. «Le donne dovrebbero sedersi al tavolo, ricercare le sfide, assumersi rischi e perseguire i propri obiettivi con determinazione». Come prevedibile, il «lean in» di Sandberg, madre di due figli, risulta sgradito all' establishment femminista. In molti le rinfacciano una condizione privilegiata: lo stipendio stratosferico (sceso nel 2014 da 26 a 16 milioni di dollari l'anno), i pacchetti azionari nei giganti Facebook e Google, la magione di 800 metri quadri, la schiera di domestici a disposizione.

Sul polo opposto si staglia Anne-Marie Slaughter, prima donna a ricoprire l'incarico di policy-planning director al dipartimento di Stato durante il primo mandato obamiano. Slaughter, falco liberal e supporter di Hillary Clinton, risponde all'esortazione di Sandberg con un verboso articolo su The Atlantic : la colpa del «gender gap» è da imputare non alle donne ma alle carenze del welfare , vale a dire all'assenza di infrastrutture che sostengano le mamme lavoratrici (primi fra tutti, gli asili nido). Cervello ed entusiasmo non sono sufficienti. Dall'impatto del cliccatissimo saggio (quasi 3 milioni di lettori) nasce l'idea di un libro manifesto recensito questa settimana dall' Economist : Unfinished business: women men work family . «Noi donne - afferma Slaughter - spesso non possiamo controllare il destino di carriera e famiglia. Insistere sul fatto che potremmo mette in ombra le strutture e le forze più profonde che forgiano la nostra vita. Sandberg si concentra su come le donne possano salire nella C-suite (i posti di top manager, ndr ) in un mondo tradizionale di gerarchie maschili. Io reputo quel sistema antiquato e guasto». A differenza di Sandberg, Slaughter ha fatto un passo indietro: non ha rinnovato l'incarico a Washington per tornare a vivere a Princeton dove i due figli adolescenti avevano bisogno di lei. Alla fine, checché ne dicano le sacerdotesse della gender equality , la mamma è sempre la mamma. E il tempo rimane una risorsa scarsa: quello che dedichi al lavoro lo togli ai figli, è inevitabile. Per questo la maternità dovrebbe essere una scelta consapevole: nessuno vi obbliga.

La moderna pretesa di avere tutto, di essere madri presenti e top manager in ascesa, è una pia illusione. Per chi insiste poi c'è sempre l'opzione Sandberg: fare le madri diventando pure un po' padri. Purché siate disposti ad ammetterlo. Anzitutto a voi stessi.

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