Siamo grilli ma non grulli. Sì, è vero, siamo dei dilettanti, dei neofiti della politica, dei «cittadini» naif e un po’ caciaroni, però non siamo tutti webeti o burattini della Casaleggio associati, perché, ogni tanto, sappiamo pensare pure noi. Eccolo l’orgoglio di M5S, che viene fuori alla fine dei «seminari rivoluzionari di filosofia», un mini-ciclo di fumose conferenze organizzate dal poeta Marco Guzzi, docente all’università Lateranense, e dalla deputata pentastellata Dalila Nesci, membro della vigilanza Rai. Parole, sfoggi di cultura, dotte citazioni, professori al microfono e persino un eterogeneo Pantheon da esibire: Pasolini, Gesù, Socrate, don Milani, Hobbes, Gramsci e il teologo calabrese Gioacchino da Fiore (1135-1202), teorico dell’emancipazione collettiva, che Dante sistemò in Paradiso accanto a San Tommaso e San Bonaventura. Insomma, c’è traccia di materia cerebrale anche sotto le cinque stelle e loro ci tengono a farlo sapere. L’ultimo seminario rivoluzionario, nella sala del refettorio di San Macuto, è sui rapporti tra gli intellettuali e la politica. La Nesci introduce i lavori cercando di legare le profezie di Gioacchino sui tre stati del mondo alla vittoria del no al referendum costituzionale e alla lotta contro le «politiche monetarie adottate senza un minimo di democrazia». Poi con «parole guerriere» si unisce all’ultima tendenza del Movimento, l’ attacco agli intellettuali e ai giornalisti che «rinunciano al loro ruolo». Nicola Morra, docente di filosofia e già capogruppo M5S al Senato, usa toni più sfumati. Parte dal Thomas Hobbes del patto sociale e del Leviatano e arriva all’autodichia di fatto di cui godono oggi i parlamentari. «Invece a me piace il potere quando è a servizio di tutti», spiega. Quanto alla cultura, «se è tale non deve mai essere alta, non deve escludere ma far partecipare», come succedeva nell’Atene di Pericle. A Morra piacciono pure don Milani e soprattutto Pier Paolo Pasolini. «Negli anni sessanta, con i suoi Scritti Corsari usciti sul Corriere della Sera, aveva già captato la pericolosità del tubo catodico perché la tv e il suo controllo porta a una condizione di minorità». In questo quadro per l’intellettuale, come diceva Antonio Gramsci, non ci sono scorciatoie. «La nostra rivoluzione deve essere prima di tutto culturale. Se non cambia la mentalità dei cittadini, nessun cambiamento elettorale sarà capace di mutare la corruzione diffusa che pervade la vita pubblica in Italia». Secondo Alfonso Maurizio Iacono, a lungo preside di storia e filosofia all’università di Pisa, gli italiani oggi si trovano un po’ come gli uomini della caverna di Platone, «prigionieri senza sapere di esserlo». O come i bambini nel girello di cui parlava Kant, insomma «viviamo nella negazione della democrazia ottenuta nel dopoguerra» e serve una svolta. Per Guzzi gli intellettuali devono «accompagnare l’ineluttabile cambiamento, quando l’umanità non sarà più come prima», e quindi bisogna «essere pericolosi e rivoluzionari come Socrate e Cristo per rompere la cappa del pensiero unico».
Però tocca fare attenzione, avverte il professor Iacono: «Che succede quando un partito di cambiamento vince e si trova al governo? Resta se stesso o diventa diverso, come il protagonista di Uno, nessuno e centomila di Pirandello?». Il potere logora anche chi ce l’ha, il Movimento è avvisato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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