Se l'università si riduce a insegnare l'italiano

Ti dice: «È un errore di battitura». Oppure: «Sono problemi di stampa». E io gli rispondo: «Avrai letto il tuo dattiloscritto prima di farlo rilegare e consegnarmelo come tesi da discutere». Replica: «Sì, ma ero più attento al contenuto». Questo è il dialogo che, col passare degli anni, è sempre più frequente tra me (...)

(...) e il laureando. Dico subito che sarebbe clamoroso l'errore di fare di ogni erba un fascio: ci sono studenti eccellenti (pochi), mediocri (la maggior parte), scadenti (gli altri). Ciò significa che alcune tesi sono scritte davvero bene, così da ricevere la dignità di pubblicazione. E molte sono sbrodolate e scorrette grammaticalmente.

A questo punto il docente si pone regolarmente il problema, durante la preparazione della tesi del suo candidato, se è il caso che intervenga correggendo la grammatica e la sintassi del suo elaborato. Il problema si risolve, o non si risolve, in base alla sua pazienza: quella del docente non dello studente che, talvolta, è tanto caparbio (od ottuso) da essere insofferente ai rilievi che il professore gli fa sulla sua grammatica, perché secondo lui è importante ciò che è scritto, non come viene scritto.

È chiaro che quel pensiero non nasce dal nulla ma si forma nel corso degli anni di scuola media, media superiore. La responsabilità dell'ignoranza in fatto di conoscenza della grammatica e della sintassi della lingua italiana non è dello studente ma degli insegnanti che ha trovato nella scuola.

Veniamo, così, all'interrogativo che sempre più spesso si pone il professore universitario: suo compito è valutare esclusivamente il modo con cui è stato approfondito il tema della tesi, il metodo scientifico o puramente compilativo con cui è stato affrontato, la correttezza della bibliografia... e quindi su questi elementi esprimere il voto, oppure, deve formulare un giudizio tenendo anche in considerazione la correttezza grammaticale e sintattica con cui è stata scritta la tesi? Diciamolo chiaramente: quest'ultimo elemento di valutazione non dovrebbe essere di sua pertinenza.

E invece, spesso, con la massa dei laureandi si perde più tempo nella correzione della tesi che nel controllo della sua qualità argomentativa, e inevitabilmente il giudizio viene deformato. Non dovrebbe essere così. Comprendo l'esigenza dei colleghi di giurisprudenza di Pisa di istituire un corso di grammatica e di scrittura della frase per il terzo o per il quarto anno di corso. Ma è assolutamente sbagliato e velleitario. L'università non può e non deve surrogare le funzioni didattiche della scuola media: non è suo compito. Piuttosto non si consenta ai laureandi, ignoranti delle regole fondamentali della nostra lingua, di presentarsi alla discussione della tesi.

Soprattutto nelle facoltà umanistiche (chiamiamole, più correttamente, «dipartimenti» ) l'ignoranza dell'italiano non è tollerabile: facciamone un argomento di discussione adesso che si sta affrontando la legge sulla «buona scuola». Una buona scuola è quella che ha buoni insegnanti, non quella che ha la funzione di ammortizzatore sociale per docenti incapaci di insegnare l'italiano.

segue a pagina 19

Iacobini a pagina 19

di Stefano Zecchi

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