Se il rigore dei servizi sociali vale soltanto per Berlusconi

Se il rigore dei servizi sociali vale soltanto per Berlusconi

C'è affidamento e affidamento. Ci sono condannati che devono scontare un anno di carcere per reati fiscali che vengono affidati ai servizi sociali, che devono curare i malati di Alzheimer, che ricevono nottetempo la visita dei carabinieri che controllano se sono a casa o sono andati a spasso, e che devono stare anche attenti a come parlano per non incappare nelle reprimende dei giudici. E ci sono condannati per orribili reati di sangue che vengono anche loro affidati ai servizi sociali anche se non sono al primo delitto, anche se tutti sanno che sono pericolosi come bombe innescate, eppure non vengono controllati, vanno in giro a colpire ed uccidere senza che nessuno si preoccupi di tenerli d'occhio. Per loro non c'è come per Silvio Berlusconi obbligo di volontariato, non ci sono lavori socialmente utili. A Cosimo D'Aggiano, tarantino, pluripregiudicato, i giudici di sorveglianza hanno dato la licenza di tornare libero: una pacca sulla spalla e via, «mi raccomando, reinserisciti, ti affidiamo ai servizi, ricordati che devi incontrare ogni tanto l'assistente sociale che valuterà i tuoi progressi». E lui, ovviamente, ha usato la libertà concessagli per reinserirsi nell'unico modo che gli era congeniale: si è armato, ed è tornato a colpire. Un altro essere umano giovedì scorso si è trovato a incrociare la strada dell'affidato: e ora si trova in una cella frigorifera dell'obitorio di Taranto.
La vittima si chiamava Aldo Pignatale, aveva 43 ani e faceva l'ingegnere. Unica colpa, stando a quanto i carabinieri hanno capito fino a ieri sera, non avere in tasca abbastanza soldi da soddisfare le pretese di D'Aggiano, quando è saltato a bordo della sua auto e lo ha costretto a dirigersi nelle campagne fuori Taranto. Il resto è una sequenza di angoscia: D'Aggiano colpisce l'ingegnere con un cutter, un taglierino, l'uomo in qualche modo riesce a scendere dall'auto, scappa, arrancando lungo la strada di campagna, finché D'Aggiano lo raggiunge e lo finisce senza pietà. Poi, per portare le indagini verso un delitto da omosessuali, sfila i calzoni al morto e se ne va. Orrore, ma orrore quotidiano, che fa parte della realtà e in qualche modo dell'inevitabile. La differenza è che in questo caso l'orrore era evitabile. Bastava che D'Aggiano fosse ancora in carcere, e giovedì sera il povero Pignatale sarebbe tornato a casa sereno, e oggi sarebbe ancora vivo.
Andrebbe analizzato nei dettagli, magari dagli ispettori del ministro della Giustizia, il percorso che ha portato Cosimo D'Aggiano a tornare in circolazione grazie all'affidamento ai servizi sociali. A colpire è il tempo straordinariamente breve trascorso in carcere. Lo arrestano nel febbraio 2009, cinque anni fa, sempre dalle parti di Taranto. Cosa ha fatto? Ha cercato di ammazzare una donna. Ma nel 2009 la parola femminicidio non si usava ancora, e poi la donna era una qualunque delle centinaia di nigeriane che la risacca dell'immigrazione scaraventa sulle strade del sesso a pagamento. D'Aggiano prima la stupra, poi le ruba la borsa, poi la accoltella. Coltellate e coltellate. Poi se ne va. La donna sopravvive, sfregiata nel corpo e nell'anima per il resto dei suoi anni. Il colpevole viene arrestato in fretta. E qui, evidentemente, accade qualcosa di imponderabile. Ieri, quando lo arrestano nuovamente, i carabinieri dicono che D'Aggiano era stato affidato ai servizi sociali perché gli restava da scontare meno di un anno di pena. Significa che per il massacro della prostituta, se l'è cavata con una condanna a sei anni. Complimenti all'avvocato, verrebbe da dire. E che quando il detenuto si è trovato a ridosso del giudice di sorveglianza ha deciso che si poteva scommettere sul suo reinserimento nella vita sociale.
Dicono i giudici, davanti a questi casi: accade di sbagliare previsioni, però nella grande maggioranza dei casi il reinserimento funziona. Vero. Ma stavolta c'era un dettaglio in più: l'aggressione alla donna nigeriana non era il primo errore di D'Aggiano. Nel 2005, a Manduria, aveva assaltato un minimarket e aveva colpito il titolare. Non con un cutter, quella volta: con una roncola. Un'arma che si usa per uccidere. Il commerciante non era morto.

E già quella volta, i giudici avevano ritenuto che non fosse il caso di infierire. Tre anni dopo D'Aggiano era libero, pronto per iniziare la caccia alla nigeriana. Giovedì sera, l'affidato ai servizi sociali che nessuno controlla torna a colpire. E stavolta ci scappa il morto.

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