Si dice spesso che la democrazia sia a rischio. Lo si diceva ai tempi del governo Berlusconi e lo si ripete oggi che a Palazzo Chigi siede Renzi. In effetti poca gente vota, quasi la metà degli aventi diritto; i partiti sono in confusione e non costituiscono più un punto di riferimento, forse perché le ideologie sono tramontate; inoltre, gli ultimi tre premier non sono stati eletti dal popolo. Pertanto può darsi che le istituzioni siano deboli perché non supportate dai suffragi o lo siano meno rispetto al passato.
Il dibattito politico attuale verte prevalentemente sui citati temi, e ne trascura altri: per esempio il diritto di parola e di critica, la libertà di stampa, che pure, ai fini del corretto esercizio democratico, sono fondamentali. In coincidenza con l'inaugurazione di Expo sono scoppiati disordini a Milano: una manifestazione contro l'esposizione è degenerata in violenze e devastazioni, come quasi sempre succede allorché i soliti gruppi di esaltati scendono in piazza.
Molti affermano che certi cortei andrebbero vietati nella consapevolezza che cominciano pacificamente e si concludono con tafferugli in cui si danneggiano i cittadini e le loro cose. Ma negarne lo svolgimento non si può, dicono i progressisti. Motivo: è illecito mortificare la democrazia con proibizioni di questo tipo. Non importa se, in pratica, lasciando che i dimostranti si scatenino, si consente loro di commettere reati, raramente puniti. A proposito, gli arrestati del 1º Maggio sono ancora in prigione o li hanno scarcerati? Nessuno ne parla.
E veniamo a Matteo Salvini, segretario della Lega. Da mesi, ormai, quando egli tiene un comizio in qualsiasi luogo succede il finimondo: i signorini dei centri sociali, tutti di estrema sinistra e coccolati dai compagni moderati, partono all'attacco del leader in questione e gli impediscono di concludere il discorso, nonostante l'intervento delle forze dell'ordine. Salvini a ogni uscita pubblica rischia di prenderle; in alcune circostanze è stato indotto a fuggire e la sua automobile è stata malridotta. Menare un politico o dargli la caccia per «fargliela pagare» non rientra nelle regole democratiche, eppure difficilmente coloro che frequentano il Palazzo o che scrivono sui giornali si stracciano le vesti per le aggressioni a Salvini. Il quale è ospite fisso dei programmi televisivi di informazione (la sua presenza ne incrementa l'audience), dove però non c'è un cane che sostenga il suo diritto a esporre le proprie idee, giuste o sbagliate che siano, senza essere insultato.
Ecco il punto. Il capo delle camicie verdi ha un eloquio schietto, sviluppa argomenti considerati politicamente scorretti che disturbano la sensibilità delle anime belle, è detestato tanto dagli avversari quanto da vari giornalisti, però è indubbio: egli intercetta i malumori di parecchia gente che vede in lui un difensore dei propri interessi. Indipendentemente dal giudizio che si possa dare dell'uomo, non si capisce perché Salvini sia trattato negli studi delle emittenti come un paria e, in piazza, addirittura come un bersaglio da colpire fisicamente, nella speranza di ferirlo.
Questa è forse democrazia? Da notare che i teppisti impegnati nei tentativi di picchiarlo non sono redarguiti dai media; anzi, sono scagionati dal fatto che il leghista usa un lessico provocatorio e le reazioni manesche degli oppositori egli se le va a cercare. In altri termini, secondo i sedicenti democratici, Matteo merita legnate. Vi sembra un ragionamento accettabile?
Non entriamo nel merito dei concetti cari a Salvini, comprendiamo che suonino fastidiosi agli orecchi di alcuni; ma il problema è un altro: in un regime democratico appena decente tutti i pensieri, anche quelli che non garbano, vanno accolti perché legittimi, e bisogna viceversa condannare chi con brutalità ne ostacola la libera espressione.
Invece, in Italia succede il contrario: si disprezza e si denigra Salvini che parla e si assolvono coloro - di sinistra - che puntano a bastonarlo, ignorando fra l'altro che questo è il modo migliore per fargli guadagnare consensi. Stupidi.
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