Sea Watch ha violato le regole. Il rapporto che inchioda l'Ong
Tripoli aveva inviato la motovedetta per salvare i migranti. Ma l'Ong li ha recuperati lo stesso. Ombre pure su Sea Eye
Tripoli aveva inviato la motovedetta per salvare i migranti. Ma l'Ong li ha recuperati lo stesso. Ombre pure su Sea Eye

C'è più di un motivo se Matteo Salvini non vuole cedere allo sbarco dei migranti in Italia. Innanzitutto le navi umanitarie con i 49 stranieri a bordo sono in acque maltesi, quindi che sbarchino a La Valletta. Secondo, le Ong battono bandiera olandese e tedesca, dunque che li accolgano loro. Terzo, l'Italia non intende sottostare "ai ricatti". Ma, soprattutto, è quanto successo in mare a convincere il ministro della necessità di non cedere alle "menzogne" di Ong e buonisti. Le associazioni umanitarie, infatti, avrebbero driblato le regole del soccorso in mare con l'intento - a quanto pare - di evitare che i migranti venissero recuperati dalla Guardia costiera libica.
"La nave 'Prof Albrecht Penck' di Sea Eye - spiega il leader della Lega - ha violato una delle più logiche ed elementari regole per il soccorso delle persone in mare: nonostante avesse ricevuto una indicazione ufficiale dalla guardia costiera di Tripoli, che stava per intervenire e quindi chiedeva alla Ong di restare ferma, ha deciso di disobbedire, caricare a bordo gli immigrati e fuggire". E non è la sola.
Come ilGiornale.it può documentare in esclusiva, infatti, dal rapporto del comandate della Guardia costiera italiana emerge che anche la Sea Watch 3 avrebbe anticipato la legittima operazione della Libia. Il capitano ricostruisce così i fatti: il 22 dicembre alle 11.50 la nave Sea Watch comunica "via e-mail alla Guardia costiera italiana, a quella di Malta e a quella olandese" di aver "avvistato un barcone con a bordo 33 migranti a circa 28 miglia dalla costa libica". Il gommone è in area Sar di Tripoli, anche se fuori dalle acque territoriali. Il coordinamento delle operazioni di salvataggio, secondo le leggi del mare, spetta dunque al governo libico.
In via teorica, l'Ong avrebbe dovuto contattare direttamente il centro di coordinamento marittimo di Tripoli. Eppure non lo ha fatto, preferendo chiamare Malta e Roma. Tant'è che la marina italiana e quella maltese sono state costrette a riferire la situazione alla Libia, la quale ha informato che "avrebbe provveduto ad inviare una motovedetta sul posto". E qui casca l'asino.
Dopo qualche ora, Sea Watch decide comunque di caricare a bordo gli immigrati e alle 15.30 comunica a Roma "di aver recuperato i 33 migranti, asserendo di aver richiamato la Guardia costiera libica senza esito". In realtà, nella sua relazione, il comandate italiano scrive che la motovedetta libica proveniente da Tripoli "sembrerebbe essere arrivata in zona" ma "si sarebbe fermata ad una piattaforma petrolifera per fare rifornimento di carburante". Una domanda sorge spontanea: l'Ong non poteva attendere il suo arrivo e, come da regolamento, lasciare alla marina libica la gestione del barcone?
Avrebbe dovuto. Ecco perché quando alle 21.52 la Sea Watch chiede un porto di sbarco, sia Roma che La Valletta negano categoricamente l'autorizzazione. Dando così il via all'esodo della nave ("non siamo un hotspot galleggiante", lamentano ora) e allo scontro istituzionale.
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Qui le norme di comportamento per esteso.
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