La secessione? È una questione di donne

La «normalizzatrice» Santamaria, la pasionaria Arrimadas e la sindaca Colau

La secessione? È una questione di donne

La politica catalana è tradizionalmente un mondo maschile, ma gratta gratta anche a Barcellona vien fuori la femmina di potere.

Ecco dunque che è stata una donna, la giovane e grintosa Ines Arrimadas, a vincere le elezioni regionali di giovedì trascinando al primo posto la lista civica centrista Ciutadans; che c'è una donna, Soraya Saenz de Santamaria, a sostenere in Parlamento a Madrid la linea dura dell'unità spagnola che il premier Mariano Rajoy difende contro il separatismo che minaccia di fare a pezzi la Spagna; e che è ancora una donna, la prima cittadina di Barcellona Ada Colau, a interpretare politicamente (e anche un po' velleitariamente) la «terza via» tra chi garantisce l'unità dello Stato e chi lavora per arrivare alla secessione della Catalogna da quello stesso Stato. Senza dimenticare Marta Rovìra, la segretaria generale della Sinistra repubblicana catalana catapultata in prima fila dall'arresto del leader Oriol Junqueras e lei stessa imputata di sedizione.

La pasionaria catalana della Spagna unita, Ines Arrimadas, ha solo 36 anni ed è arrivata alla politica quasi per caso dopo aver assistito a un comizio del leader di Ciudadanos (Ciutadans in catalano) Albert Rivera. È un'esponente della Barcellona europeista, aperta e internazionale. Lei stessa è nata in Andalusia e vi si è trasferita per lavoro undici anni fa. Rappresenta la «maggioranza silenziosa» dei catalani che rifiuta la secessione e non si sente rappresentata dai partiti tradizionali. Nella sua vita privata testimonia la trasversalità, avendo sposato un ex deputato nazionalista catalano, Xavier Cima. Ma nei suoi appassionati interventi al Parlamento catalano insiste sulla gravità della rottura che il secessionismo provoca non solo a livello politico, ma ancor più nelle famiglie e nelle amicizie.

A Soraya Saenz de Santamaria, «la donna più potente di Spagna», spetta invece un ruolo bifronte. A Madrid, la vicepresidente del governo guidato da Mariano Rajoy è stata la vibrante portavoce della linea unitaria del Pp, per poi assumere il ruolo di Commissario straordinario del governo di Barcellona: in altre parole, l'ambiziosa giurista 46 enne è diventata la «normalizzatrice» della Catalogna.

Ada Colau, sindaca di Barcellona, si è invece posta in queste elezioni nel ruolo di terzo incomodo. Il suo movimento «Barcelona en comù», versione regionale di «Podemos», ha preteso di porsi come alternativa sia all'indipendentismo catalano sia all'unitarismo duro e puro incarnato da Rajoy. Non ha avuto molto successo: è scesa da 11 a 8 seggi al Parlament. Il personaggio è tipico di un certo filone di politica ideologicamente casual in stile grillino.

Ex attivista dell'occupazione delle case sfitte, generica simpatizzante di una sinistra alternativa del genere «non in mio nome», è diventata sindaca della seconda città spagnola nel 2015 sull'onda del successo di Podemos. Con la progressiva decadenza dell'uno, non stupisce più di tanto lo scarso appeal dimostrato dall'altra nel voto di due giorni fa.

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