Dilemma: può l'arte essere instagrammata? Certo che sì. Le opere d'arte hanno un prezzo e un mercato. E quindi perché sbigottirsi se i meccanismi del digital marketing sono applicati anche qui?
Eppure è bastato che la più nota delle influencer, Chiara Ferragni, si facesse fotografare agli Uffizi di Firenze per indignare le anime belle del culturame: ma cosa crede quella biondina slavata, che Botticelli è una borsa di Prada? Meglio che i musei continuino a essere visitati da stranieri in ciabatte, scolaresche annoiate e sparuti appassionati occhialuti.
Ma il mondo della comunicazione social si è già annesso l'arte grazie a figure che girano per mostre e musei, vanno ai vernissage, fotografano e si fotografano e poi postano sui social, meglio se Instagram. Veri e propri «art influencer», senza i numeri dei colleghi che si occupano di fashion, beauty e food ma in grado di spostare l'attenzione su brand che vogliono promuovere progetti artstici o istituzioni paludate che vogliano svecchiarsi e dare visibilità alla programmazione. Figure avvezze alle dinamiche social ma anche autorevoli. Tra i più noti art influencer italiani ci sono galleristi, critici d'arte, curatori.
Un mondo molto femminile. Tra i più noti ci sono infatti Maria Vittoria Baravelli (@MariaVittoriaBaravelli), giovane ravennate dalla «r» moscia che ama definirsi «art sharer», e che su Instagram ha 22,8 mila follower che guardano pezzi di arti classica e il suo viso da indossatrice spesso imbronciato. C'è Cristina Giopp (@thegirlinthegallery), che ha 18,2 mila follower e che si racconta nell'intervista qui a lato. Ci sono Anna Fornaciari e Anastasia Fontanesi, alias @travelonart (5.956 follower), dallo stile «urban» e molto giovane.
E c'è soprattutto Clelia Patella (@cleliart) che ha 36,1 mila follower e che al fenomeno ha dedicato un libro: «Selfie ad arte», edito da Ultra. Più delle sue colleghe la salentina Clelia mette se stessa al centro della scena artistica, valorizzando una bellezza elegante e sbarazzina. «L'arte - ci dice - è l'ultima roccaforte che tuttora opponga resistenza ai social e questo dipende dalla natura molto legarta all'esperienza diretta ma anche al fatto che sia una cosa terribilmente seria, per la qule non è banale soluzioni comunicative leggere». Leggere come la Ferragni agli Uffizi? «Il fine giustifica i mezzi e non posso che rallegrarmi del fatto che possa aver portato nuovi visitatori nei musei. Ma quanti follower della Ferragni andranno in un museo capendo effettivamente dove vanno? Noi anche quando abbiamo u millesimo dei suoi follower portiamo nei musei più visitatori e più motivati. Per questo credo che gli interventi di chi sui social si occupa più specificatamente di arte abbia un valore maggiore».
E gli uomini? Se la giocano su altri tasti. C'è Francesco Bonami (@thebonamist), critico d'arte che - barba bianca e occhiali scuri - dispensa brevi clip video condensato di cattiveria. C'è Giulio Alvigini (@maketheitalianartgreatagain), specializzato in meme sarcastici (come la Ferragni che copre le «vergogne» di un Achillo Bonito Oliva desnudo). C'è Edoardo Monti (@edoardomonti), bresciano di formazione newyorkese, che supporta i giovani artisti.
C'è il recordman di follower (91,9 mila) Gerry Bonetti (@gerrybonetti), avvocato e collezionista milanese che con rigore posta solo fotografie di opere, senza mai mettersi in mezzo, e poi ne dibatte con i suoi seguaci in imperdibili maratone digitali. Insomma, «Professione arte», come il titolo del nuovo libro di Andrea Concas (@arteconcas).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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