Semaforo rosso della Borsa. Pop Vicenza non si quota più

Stop allo sbarco in Piazza Affari: troppo poche le azioni collocate. Sulle spalle del fondo Atlante resta il 99,3% della Popolare veneta

Semaforo rosso della Borsa. Pop Vicenza non si quota più

«Non ci sono i presupposti per garantire il regolare funzionamento del mercato».

Con questo epitaffio ieri Borsa Italiana ha messo una pietra sopra alla quotazione della Popolare di Vicenza. Colpa del mancato raggiungimento della soglia minima di flottante necessaria per l'ammissione agli scambi, pari al 25 per cento. Nel dettaglio, un unico soggetto avrebbe posseduto il 91,72% del capitale sociale della società post offerta e 10 investitori istituzionali avrebbero avuto in portafoglio il 5,07% con il pubblico indistinto allo 0,36% e gli azionisti preesistenti al 2,86% del capitale.

Salta la quotazione ma non la garanzia del fondo Atlante: con le azioni della Popolare vicentina rimaste fuori dal listino rileverà tutte le azioni collocate, arrivando quindi a una quota del 99,33% dell'istituto, mentre lo 0,67% appartiene ai vecchi azionisti. Le richieste di sottoscrizione pervenute sono dunque decadute e sulle spalle del fondo Atlante è finito l'intero aumento di capitale da 1,5 miliardi riducendo le risorse del fondo da 4,2 a 2,7 miliardi.

Durante la presentazione di Atlante alla comunità finanziaria, Alessandro Penati - numero uno di Quaestio sgr cui fa capo Atlante - aveva messo le mani avanti, spiegando che le alternative possibili alla quotazione «sono tante». Si può «vendere, fonderla, spezzettarla» o, una volta ristrutturata, quotarla «ad un prezzo più alto». Quaestio punta comunque a risanare l'istituto nel giro di diciotto mesi e se si riuscisse anche uscire dal capitale in questo arco di tempo, aveva detto Penati con una battuta, allora «sono Warren Buffett».

Ieri a gettare acqua sul fuoco è intervenuto anche Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit, cui Atlante è subentrato come garante della ricapitalizzazione: «Il mancato sbarco in Borsa di Popolare Vicenza non rappresenta un problema per la banca, mentre è positivo che ora l'istituto abbia capitale sufficiente per poter operare in tranquillità». Ghizzoni si è inoltre dichiarato non sorpreso dall'insuccesso dell'aumento: «Che il mercato fosse complicato lo sapevamo mesi fa e non è migliorato in queste settimane, quindi potevamo aspettarci l'esito non completamente positivo, per questo motivo è stato portato avanti il discorso Atlante».

Lo stop all'istituto guidato da Francesco Iorio ha comunque fatto scattare le vendite sui titoli bancari in Piazza Affari, che stavano già perdendo terreno fin dall'apertura degli scambi: subito dopo l'alt all'Ipo della banca veneta sono state sospese in asta di volatilità Mps, Unicredit e Bpm. Per tutta la giornata, maglia nera è stato il Banco Popolare, che ha concluso a -7,3%, seguito da Bpm (-6%), Mps (-5,5%), Carige (-5,3%), Ubi (-4,9%) e Unicredit (-3,6%). Le vendite non hanno risparmiato neppure Intesa Sanpaolo (-2%) che ha il ruolo di capofila nel consorzio di garanzia dell'aumento di capitale da un miliardo di Veneto Banca, il cui sbarco in Borsa è atteso per giugno. Quanto a Mediobanca, che aveva prenotato un 5% dell'aumento della Vicenza ma condizionato alla quotazione, ha ceduto il 2,86 per cento.

«Altro che Atlante, da oggi dovrebbe chiamare il nome in Sisifo», è la battuta che

circolava ieri nelle sale operative citando colui che nell'Odissea appare nell'oltretomba condannato a rotolare eternamente sulla china di una collina un macigno che, una volta spinto sulla cima, ricade sempre giù in basso.

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