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È sempre stata colpa delle banche d'affari

È sempre stata colpa delle banche d'affari

Regali di Stato sotto l'albero di Natale: un fiume di denaro pubblico sarà versato nelle casse del Monte dei Paschi che, in questi anni, ha già bruciato 12 miliardi in aumenti di capitali e che, negli ultimi mesi, ha azzerato il suo valore. Il salvataggio ha subito creato un «gap» tra i risparmiatori di serie A e quelli di serie B che sono, poi, gli investitori delle cinque banche messe in bonis l'anno scorso senza ottenere quella corsia preferenziale con i quattrini dei contribuenti riservata ai senesi. Si tratta del brutto epilogo di una brutta storia italiana: di chi è la colpa? Dopo tanti processi sommari, è giunta l'ora di attribuire certe responsabilità in questa vicenda che, in fatto di insipienza, protervia e faciloneria, ha davvero vinto il palio della gestione sciagurata. Tanti gli errori commessi compresi quelli di coloro che hanno permesso che Mps fosse un'eccezione alle regole delle fondazioni bancarie: perché le altre hanno dovuto ridurre drasticamente le loro partecipazioni nei rispettivi istituti di credito mentre Mps no? In questa categoria di responsabilità rientra anche un'enorme leggerezza: aver fatto restituire al Montepaschi i 5 miliardi di Monti Bonds prima di attendere una ricapitalizzazione ordinata della stessa banca. Con quei Bonds si sarebbe potuto gestire davvero la crisi in ben altre condizioni. Accanto agli errori che partono da lontano, dobbiamo aggiungere il fallimento di tutta l'operazione di salvataggio portata avanti, diciamo così, da JP Morgan e Mediobanca che, negli ultimi mesi, hanno assunto un ruolo molto più stringente di quello normalmente esercitato dagli advisor finanziari. Chi ha finito per fare affondare la nave toscana? È stata, soprattutto, colpa degli advisor e dei vertici della banca che hanno presentato al mercato un piano di impresa non convincente come molti analisti hanno subito rilevato. È stata colpa degli stessi che hanno proposto agli investitori una struttura di operazione finanziaria apparsa poco interessante, piuttosto complicata e pure molto onerosa. È sempre stata colpa dei nostri registi di Siena che, quasi l'istituto non fosse sull'orlo del fallimento, hanno finito per rigettare, senza neppure confrontarsi, la proposta alternativa messa insieme da Corrado Passera, già Intesa Sanpaolo e Bancoposta, con una delle più serie banche d'affari del mondo (Ubs) e con alcuni private equity internazionali che hanno depositato in Consob le lettere d'impegno e non sono stati neppure interpellati da Mps. Intendiamoci, l'offerta sarà anche stata insufficiente, magari-pure una proposta-capestro, ma, in mancanza di alternative, sarebbe stato molto meglio andare a «vedere». Un'ultima osservazione: se gli advisor avessero davvero creduto nell'operazione che proponevano, avrebbero dovuto sottoscrivere direttamente una parte dell'aumento di capitale, ma non l'hanno fatto. Un motivo in più per renderci conto che l'intervento dello Stato nel capitale Mps è stato, comunque, una sconfitta per l'intero sistema-Italia.

A questo punto, con i nostri quattrini in ballo, non ci resta che sperare in una maggiore trasparenza a Siena e dintorni. A proposito: quando arriveranno le risposte degli ex signori del Monte agli interrogativi sollevati da Nicola Porro sul Giornale di sabato scorso?

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