Nonostante l'ostinazione di Matteo Renzi e del ministro Maria Elena Boschi, prodighi nel ripetere che sulle riforme «non ci sono problemi», le macerie del Nazareno iniziano a rendere piuttosto accidentato il percorso del governo. Lo spettacolo andato in scena ieri alla Camera ne è la dimostrazione lampante, con una maggioranza in balia dell'ostruzionismo feroce dei Cinque Stelle e pure alle prese con la minoranza del Pd tentata dal votare i propri emendamenti non rispettando le indicazioni del capogruppo dem Roberto Speranza. In una parola, il caos. Con il Parlamento costretto a votare in notturna non un decreto in scadenza ma la legge che dopo quasi settant'anni dovrebbe riscrivere la Costituzione e perfino cancellare il Senato. Che sia una forzatura è del tutto evidente.
D'altra parte, nonostante l'ampia maggioranza di cui gode Renzi a Montecitorio, la sponda di Forza Italia in questo ultimo anno è stata ben più importante di quanto il premier vuole lasciar credere. Certo, alla fine i numeri sono dalla sua e anche al Senato è plausibile pensare che dopo un'attenta opera di scouting - ai tempi di Silvio Berlusconi si chiamava compravendita - il ristretto margine di una quindicina di voti che ha adesso finirebbe per allargarsi. Ma senza la stampella azzurra per il leader del Pd si annunciano giorni difficili, confronti complicati e trattative tese. Renzi è infatti accerchiato da un'opposizione che adesso va da Forza Italia a Sel passando per la Lega, Fdi e il M5S. Senza considerare la fronda interna al Pd che ha già archiviato la pax mattarelliana ed è tornata in trincea, non solo sulle riforme ma pure sui decreti attuativi del Jobs Act.
Ecco perché il post Nazareno costringe Renzi ad arretrare e a buttarsi sulla politica del rinvio. Slittano le riforme istituzionali che la Camera non licenzierà domani - come aveva trionfalmente annunciato il premier qualche giorno fa - ma solo a marzo. Scivola l'Italicum che, bene che vada, tornerà a Montecitorio a giugno, tanto che la Boschi adesso non esclude che sia «approvato entro settembre». In stand by pure il decreto fiscale in agenda per il Consiglio dei ministri di venerdì prossimo. Se ne riparlerà a maggio, ma l'approvazione è posticipata a settembre. Senza contare che in sospeso ci sono i decreti Milleproroghe (alla Camera) e Ilva (al Senato), tutti e due vicini alla scadenza. Per Renzi, insomma, la strada si fa piuttosto accidentata.
Senza contare che - al netto dei numeri in Parlamento - riscrivere la Costituzione in un clima di guerriglia come quello degli ultimi giorni in passato non ha portato bene. Ne sa qualcosa Berlusconi: la sua riforma della Carta che fu sonoramente bocciata nel referendum confermativo del 2006.
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