Uno dei più grandi intellettuali europei del nostro tempo, ma anche un uomo che aveva messo la sua ragione al servizio della fede. E che anzi le aveva coniugate, intrecciandole fra loro in modo inestricabile, in un'epoca che invece ha smarrito le certezze e gettato da qualche parte la bussola della razionalità. Questo era Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, il Papa emerito che si è spento a 95 anni.
Quando Paolo VI il 25 marzo 1977 lo aveva nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga, lui era andato dritto al punto che più gli premeva, davanti ai dubbi e alle contorsioni dello spirito contemporaneo. Come motto episcopale scelse una frase assai impegnativa, da far tremare le vene dei polsi nella nouvelle vague della società di oggi: «Collaboratore della verità». E chiarì: «Per un verso mi sembrava che fosse questo il rapporto esistente fra il mio precedente compito di professore e la nuova missione. Anche se in modi diversi, quel che era e continuava a restare in gioco era seguire la verità, essere al suo servizio. E d'altra parte ho scelto questo motto perché nel mondo di oggi il tema della verità viene quasi totalmente sottaciuto, appare infatti qualcosa di troppo grande per l'uomo, nonostante che tutto si sgretoli se manca la verità». Così la biografia diventa un cuneo e una sfida alla sensibilità scettica se non nichilista degli accademici e della società. È il programma di una vita attraverso tutte le successive tappe: sacerdote, professore, arcivescovo di Monaco di Baviera, prefetto dell'ex Sant'Uffizio, Papa e poi, ritagliando per se un ruolo inedito con un coraggio straordinario scambiato per temerarietà, Papa emerito. Con la coda finale di quei nove, anzi quasi dieci lunghissimi anni - più lunghi degli otto al comando - vissuti appartato in un monastero nascosto nei Giardini Vaticani: un periodo che molti catastrofisti avevano previsto come uno sconquasso, una prova quasi insopportabile per la Chiesa e che invece Ratzinger ha vissuto defilatissimo, quasi invisibile come un monaco di clausura, attento prima di tutto a non tagliare la strada al suo successore che certo all'inizio aveva dissimulato un certo imbarazzo.
Ma, senza voler trasformare questo articolo in un'agiografia, si può tranquillamente sostenere che la profondità e la grandezza del pensiero andavano di pari passo con l'umiltà e la semplicità miracolose della persona, nata in una famiglia di modeste condizioni della Baviera. Joseph viene al mondo il 16 aprile 1927 a Marktl am Inn in Baviera. Celiando ma non troppo, Vittorio Messori - che lo aveva intervistato, una prima volta assoluta per il prefetto del Santo Uffizio, in un'ala del seminario di Bressanone, dando poi alle stampe il Rapporto sulla fede in cui Ratzinger fra le altre cose attaccava la teologia della liberazione e una lettura progressista del Concilio con tutte le sue deviazioni -, ricordava che dal campanile di Marktl si intravede quello di Braunau, già in Austria, dove era nato Adolf Hitler.
Il padre veniva da una famiglia di agricoltori, la madre, prima di sposarsi, aveva fatto la cuoca in diversi hotel.
Joseph trascorre l'infanzia e l'adolescenza a Traunstein, un paesino quasi alla frontiera austriaca, a 30 chilometri da Salisburgo. In un contesto che egli stesso definisce «mozartiano» e dove la musica ha un'importanza straordinaria, ancora di più nella famiglia Ratzinger, tanto che il fratello Georg, pure prete, sarà per lunghi anni direttore del coro delle voci bianche del duomo di Ratisbona. Può sembrare quello di Joseph Ratzinger un piccolo presepe, ma non è così perché il giovane deve fare i conti con il nazismo e la sua furia anticristiana. Un episodio lo segna in modo indelebile: l'aggressione al parroco prima della Messa. Il ragazzo riflette sull'aberrazione dell'ideologia in un'Europa dilaniata dalla lotta fra nazismo e stalinismo, prima alleati e poi nemici fino alla distruzione di Berlino. Nel 1944 Joseph viene arruolato nei servizi ausiliari antiaerei. Poi, finita la guerra, entra in seminario: è sacerdote nel 1951; subito comincia a insegnare e continua a studiare: diventa dottore in teologia con una tesi su «Popolo e casa di Dio nella dottrina della Chiesa di Sant'Agostino», e per l'abilitazione all'insegnamento scrive una dissertazione sulla «Teologia della storia in San Bonaventura». È professore a Bonn, Tubinga, Ratisbona. Partecipa come «esperto» al Concilio, nel 1972 lancia, insieme a grandi teologi come Hans Urs von Balthasar e Henri de Lubac, la rivista Communio. Poi arriva la chiamata a Monaco di Baviera e quella presa in carico della verità. È impossibile elencare tutti gli incarichi e gli impegni di Ratzinger, ma l'ulteriore svolta arriva nell'81, quando Giovanni Paolo II lo chiama a guidare la Congregazione per la Dottrina della fede. Una posizione scomoda e difficilissima, fra deviazioni e spinte centrifughe. Ratzinger è un uomo mite, ma non ha paura di andare contro mode e tendenze che a suo dire snaturano la Chiesa e per questo viene etichettato come conservatore se non reazionario, così come Francesco verrà classificato come un progressista, anche se sul versante etico è, come dire, all'antica.
Del resto basta ascoltare una sua celebre e drammatica meditazione sul Venerdì santo per capire la forza profetica e scarnificante del suo magistero, mai distaccato, mai rarefatto e sempre pronto a misurarsi con la realtà presente, macchiata dal peccato, avvelenata dal tradimento, colma di un dolore che soffoca la speranza: «La Chiesa, la fede, non assomigliano a una piccola barca che sta per affondare, che lotta inutilmente contro le onde e il vento, mentre Dio è assente?». Non è una domanda retorica, corredata da una prevedibile risposta buonista, quella di Ratzinger, ma un grido nella notte quasi impenetrabile del mondo. L'oscurità e la luce. Cristo come sfida all'irrazionalità e come risposta alle ansie e alle inquietudini dell'uomo di oggi. Una chance per tutti: grandi e piccoli. Ratzinger è alla testa del team di esperti che nel '92 presenta il nuovo Catechismo della Chiesa. La verità, da scalare con testa e cuore. Suggestioni che il prefetto, ormai cardinale, riprende in una predica memorabile celebrando i funerali di don Giussani nel Duomo di Milano a febbraio 2005. La scelta per Cristo è la scelta più coerente per la ragione e questa strada è aperta a tutti, anche e soprattutto a chi non crede più a nulla. La sera stessa delle esequie, si apprende che le condizioni di Wojtyla si sono aggravate. Ratzinger torna di corsa a Roma: ora tocca a lui. Il 16 aprile 2005 diventa Benedetto XVI. Rimarrà in Vaticano otto anni, fra encicliche - tre: Deus caritas est, Spe salvi, Caritas in veritate - meditazioni e scandali. Monta ovunque il vento rabbioso per i silenzi della Chiesa sulla tragedia della pedofilia, e poi c'è Vatileaks, con maneggi, acrobazie finanziarie, vorticose fughe di notizie, in particolare nel 2012, e faide ai più alti livelli del Vaticano di cui è difficile definire i contorni.
Il Papa è stanco, sempre più stanco e l'11 febbraio 2013 annuncia l'impensabile: la rinuncia al soglio di Pietro, uno scoop mondiale dell'Ansa, la più veloce a cogliere quelle parole pronunciate in latino. Per i complottisti è una resa ai poteri occulti che manovrano dietro, ma nemmeno tanto, le quinte; per molti è uno scandalo, un gesto di arroganza di matrice quasi protestante. Pochi forse aprono gli occhi sull'umiltà e sul realismo di un uomo che riconosce il proprio limite e chiede aiuto al Cielo, come sempre ha fatto nella sua vita. Anzi, si può capovolgere l'interpretazione del clamoroso addio: quello di Benedetto è un atto di fede assoluta. Fede in Cristo, fede nello Spirito chiamato a rinnovare le vie della Chiesa.
Il resto è il tempo trascorso nel monastero Mater Ecclesiae: circondato dal cicaleccio
malevolo del mondo, accudito da quattro Memores Domini cresciute alla scuola di don Giussani, silenzioso servitore di Francesco, come lo Spirito ha voluto. «Signore, ti amo», in italiano, le ultime parole prima della morte.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.