La sfida diplomatica di Erdogan. "Mosca e Kiev devono parlarsi". Lavrov: le porte non sono chiuse

Erdogan annuncia l'intenzione di voler sentire Zelensky e Putin al telefono e il Cremlino risponde che la chiamata ci sarà, oggi, a distanza di un mese dalle ultime

La sfida diplomatica di Erdogan. "Mosca e Kiev devono parlarsi". Lavrov: le porte non sono chiuse

Erdogan annuncia l'intenzione di voler sentire Zelensky e Putin al telefono e il Cremlino risponde che la chiamata ci sarà, oggi, a distanza di un mese dalle ultime. Il presidente turco vuole ergersi a Re della diplomazia nella guerra in Ucraina. E il suo insistente No all'ingresso della Svezia e della Finlandia nella Nato - «finché sarò io presidente della Turchia» ha detto ieri - gli dà ancora più credito agli occhi di Mosca come possibile mediatore. Eppure, in un bagno di pragmatismo, il leader turco ha ammesso pessimista: «Noi sogniamo che questa guerra finisca il più presto possibile, ma sembra che gli eventi si stiano sviluppando negativamente ogni giorno che passa».

Nonostante il nuovo attivismo dei leader europei, i negoziati sono in stallo, anche se il ministro russo degli Esteri Sergei Lavrov in un'intervista con la tv francese Tf1 ha apparentemente aperto uno spiraglio: «La Russia non crede che le porte per la ripresa del dialogo con l'Occidente siano chiuse». Ma poi il leader della diplomazia di Mosca ha ribadito gli obiettivi russi, dopo aver definito «isteriche» le sanzioni: la liberazione del Donbass è una priorità assoluta, il futuro dei territori dove la Russia sta conducendo l'operazione militare speciale dovrà essere deciso dai loro cittadini e infine smilitarizzazione di tutta l'Ucraina. Impossibile, a queste condizioni, trovare una conciliazione con Kiev.

Erdogan vuole provarci lo stesso e spiega che la Turchia continuerà a chiedere alle parti in conflitto di «utilizzare tutti i canali del dialogo e della diplomazia». «Sforzi che anche Papa Francesco apprezza», fa sapere l'ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede, ricevuto in udienza ieri dal Pontefice. Se Macron, Scholz e Draghi hanno riaperto un canale con Putin, Erdogan può tentare di strappare un risultato. È l'unico alleato a osteggiare l'adesione di Stoccolma e Helsinki alla Nato e l'unico a mostrare di comprendere alcune preoccupazioni di Mosca. «La Russia naturalmente non vede di buon occhio e non sostiene l'ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, innanzitutto preoccupata dall'adesione di Helsinki, con cui divide i confini». E sul tema dell'allargamento della Nato, il leader turco lavora per sé ma fa un regalo a Mosca. Il problema è che «Helsinky e Stoccolma continuano a permettere che terroristi passeggino per le loro strade e li proteggono». Sostengono il terrorismo, dice, puntando il dito sull'accoglienza offerta ai membri del partito curdo Pkk e ai combattenti curdi dell'Ypg in Siria, che Ankara considera «organizzazioni terroristiche». Il presidente turco è tornato pure a minacciare un intervento militare nel Nord della Siria. Intanto Ankara chiede la fine dell'embargo sull'esportazione di armi che Svezia e Finlandia hanno imposto nel 2019 alla Turchia, proprio dopo l'offensiva contro i curdi siriani. E l'estradizione di una trentina di «terroristi» legati al Pkk. Erdogan gioca su più tavoli. Ma è il leader che ha dato meno fastidio a Putin e che non ha seguito Nato e Ue sulle sanzioni a Mosca.

Il Cremlino potrebbe preferire il suo ruolo di mediatore. Ma la montagna del dialogo resta altissima da scalare. Zelensky ha di nuovo sparato a zero su Mosca dopo la visita a Kharkhiv: «La Russia ha perso il suo futuro e qualsiasi legame culturale con il mondo libero».

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