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La sfilata dei partiti a Chigi. Il premier blinda la manovra

Assalto finale, i sindacati: "Non va". Ma Draghi: "Non si toccano impianto e saldi". Sul piatto 600 milioni

La sfilata dei partiti a Chigi. Il premier blinda la manovra

Per i partiti, si sa, il momento magico per battere cassa, ognuno per le proprie constituency o clientele, è quello dell'approvazione della Finanziaria.

Così da ieri, e per i prossimi due giorni, il premier Mario Draghi si sottoporrà a un lungo giro di giostra coi rappresentanti della sua rissosa maggioranza, per ascoltarne le lamentele, prendere atto delle loro liste della spesa e fornire alla fine qualche contentino onde poter portare a casa una manovra già sostanzialmente blindata. E scongiurare il disordinato assalto alla famosa diligenza che altrimenti è pronto a partire, come dimostra la valanga di emendamenti rovesciati dai gruppi parlamentari sul testo governativo. Le premesse degli ultimi giorni non sono delle migliori: l'accordo sul relatore in Senato mandato all'aria dai capricci di M5s, i voti di Fi, Lega e Iv che hanno mandato sotto il governo su emendamenti al decreto capienze.

Se non bastassero i partiti, ci sono anche i sindacati: ieri sera Cgil, Cisl e Uil, ricevuti dal ministro dell'Economia Franco, hanno detto la loro: «Gli 8 miliardi di riduzione fiscale devono andare tutti a lavoratori dipendenti e pensionati». Ne sono usciti con le pive nel sacco e assai «insoddisfatti»: «Il governo si è dimostrato indisponibile a cambiare impostazione», lamenta Sbarra (Cisl). «Molto negativo che ci si presenti l'accordo di maggioranza come perimetro», si lagna Landini.

A Palazzo Chigi non sono stati convocati i leader, ma i capigruppo in Parlamento e i capidelegazione ministeriali, che avendo responsabilità governative dovrebbero tenere a freno i loro. Draghi ha già messo in chiaro che la coperta è corta: ci sono al massimo 600 milioni con cui le diverse forze politiche potranno giocare a chi ottiene di più, di qui al 20 dicembre, quando il Senato dovrà approvare (con fiducia) il testo, che poi passerà intangibile alla Camera entro il 31 dicembre: «L'impianto della manovra e i saldi non si possono cambiare», ripeterà il premier a tutti i suoi interlocutori. Che hanno ciascuno le proprie bandierine da piantare: per i Cinque Stelle, ricevuti ieri, i totem sono il superbonus edilizio, da allargare senza limiti di reddito alle case unifamiliari, e la difesa dei ben 9 miliardi destinati al reddito di cittadinanza («Basta modifiche», dice Patuanelli dopo l'incontro con Draghi), che altri vorrebbero decurtare per usarli altrimenti. La Lega, ad esempio, punta su una parte di quei fondi per contrastare il caro-bollette: «Tagliamo gli sprechi dei furbetti del reddito per abbassare, con almeno altri 2 miliardi, i costi di luce e gas e aiutare le famiglie: è la nostra priorità», dice Matteo Salvini. Iv chiede misure per «giovani e donne». Forza Italia insiste sull'abolizione dell'Irap e annuncia: «Chiederemo di aumentare a 10 gli 8 miliardi destinati alla riduzione della pressione fiscale»; il Pd punta su Ape sociale, scuola e Superbonus. E rilancia la proposta di creare un «coordinamento politico dei capigruppo di maggioranza per individuare le priorità su cui costruire un'intesa». E per evitare, come spiega Tommaso Nannicini, che «si giochi sui singoli emendamenti con maggioranza variabili e la testa al Quirinale anziché all'Italia». Ma Fi dice no: «È una proposta fuori tempo massimo».

Intanto nella notte si svolge un lungo vertice di maggioranza in commissione Finanze del Senato, per cercare di trovare l'accordo sugli emendamenti al decreto fiscale, che dovrebbe andare in aula stamani.

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