Politica

Siamo (quasi) tutti Valeria

La studentessa uccisa dalle bestie. Tutti solidarizzano, ma chi non vuole denunciare la barbarie islamica non la commemora e non può nemmeno restare tra noi

Siamo (quasi) tutti Valeria

Adesso è ufficiale. Valeria Solesin, 28 anni, è tra le vittime - unica italiana - delle stragi parigine. Lo diciamo con sincerità e senza retorica: oggi siamo tutti Valeria, morta innocente come nelle guerre convenzionali accadeva ai civili sotto i bombardamenti. Il fatto che la ragazza fosse stata un'attivista dell'organizzazione pacifista Emergency di Gino Strada rende la sua morte ancora più assurda e paradossale, ed è la prova della ferocia di un nemico al quale non interessa neppure distinguere per appartenenza ideologica o politica. Siamo tutti bersagli in quanto occidentali, in quanto infedeli. Per questo il nostro «siamo tutti Valeria» ha bisogno di qualche delimitazione per evitare ipocrisie e complicità. Al di là di come la pensasse la ragazza, oggi non può dirsi Valeria chi crede che gli attentati di Parigi siano l'inevitabile risposta a presunte nefandezze dell'Occidente. In particolare non sono Valeria quei numerosi islamici moderati che, interpellati in queste ore dai giornalisti per strada e all'uscita delle moschee, riempiono di «se» e di «ma» la loro già tiepida presa di distanza dai terroristi che hanno ucciso in nome di Allah. Ieri abbiamo scritto: se è vero che siamo in guerra è necessario adottare misure straordinarie a costo di sospendere alcune garanzie oggi scontate. Per esempio, penso che si debba ritirare il permesso di soggiorno a chi solidarizza direttamente o indirettamente con chi uccide i nostri figli. Se mettiamo in galera cittadini italiani per l'ambiguo e discusso reato di concorso esterno in associazione mafiosa (è sufficiente avere avuto contatti con persone mafiose) non vedo perché non si debba introdurre lo stesso trattamento nei confronti di chi strizza l'occhio a degli assassini che ci hanno dichiarato guerra. In queste ore c'è il sacro terrore a parlare di guerra di religione. Ma siccome, purtroppo, è così, non si può più accettare la commistione tra islamici moderati e islamici radicali che, come dimostrano numerose inchieste giudiziarie, avviene quotidianamente in molte moschee e comunità di immigrati. Quando si è in guerra bisogna scegliere senza «se» e senza «ma»: o di qua, o di là. E chi è di là, ovviamente, non può essere con Valeria né con noi.

Di più: non può stare tra noi.

Commenti