Indagato per corruzione il giudice della Corte costituzionale Augusto Barbera. La procura di Roma chiude uno dei filoni dell'indagine Do ut des, iniziata a Bari nel 2008, per pressioni a favore di alcuni candidati in concorsi universitari di diritto pubblico. E mentre ad altri contesta il reato di induzione al falso in atto pubblico usa la mano pesante con il giurista della Consulta.
Da alcune intercettazioni, infatti, Barbera risulterebbe lo «sponsor» di Federico Pizzetti, figlio dell'ex garante per la privacy Franco, in un concorso all'Università Europea Legionari di Cristo.
Situazione imbarazzante per uno dei membri della Consulta che nei prossimi mesi dovrà giudicare la nuova legge elettorale. Il professore di diritto costituzionale a Bologna, entrato all'Alta Corte a dicembre su proposta del Pd è stato anche trai «saggi» nominati da Enrico Letta e benedetti da Giorgio Napolitano per studiare la riforma costituzionale, oltre che ministro dei Rapporti con il parlamento nel governo Ciampi. Si capisce che peso possa avere alla Consulta. Eppure, un fatto del genere è caduto nel silenzio più assordante del Palazzo della politica.
L'ipotesi di corruzione non riguarda «alcun passaggio di denaro, né scambio di favori, ma solo un collegamento tra diversi concorsi universitari nell'ambito dei quali sarebbero intervenuti aiuti vicendevoli per sostenere i vari candidati», precisano gli avvocati di Barbera, Filippo Sgubbi e Vittorio Manes. Ricordando che della vicenda, sulla quale insiste da giorni Il Fatto, «i giornali ebbero già a dare notizia». E che «sin dall'inizio, tra i reati ipotizzati dalla polizia giudiziaria vi è sempre stata la fattispecie di corruzione», come scritto dallo stesso quotidiano nel 2013.
Non soldi, non favori, ma «aiuti vicendevoli», per gli avvocati. Una raccomandazione, insomma, nel più puro stile italico. Sufficiente, però, per addensare nubi su uno dei 15 giudici delle leggi che, per la loro posizione, dovrebbero essere al di sopra di ogni sospetto. Soprattutto mentre gli italiani si preparano ad un referendum sulla riforma della Carta, strettamente connessa con l'Italicum. E negli atti dell'inchiesta sulla «concorsopoli» universitaria si parla anche di «pressioni da parte di Giuliano Amato», altro giudice costituzionale di peso, anche se non risulta indagato.
I legali di Barbera spiegano di aver presentato «una memoria esplicativa a sostegno della richiesta di archiviazione» e ribadiscono che il professore Barbera ha manifestato «la sua piena disponibilità ad essere interrogato» e la «propria fiducia nella magistratura», nella speranza che il procedimento si chiuda presto. Per loro, è «totalmente estraneo a questa vicenda».
Nel concorso per titoli al centro dell'indagine che ha coinvolto una trentina di professori, Barbera non era componente di alcuna commissione ma avrebbe esercitato la sua influenza su un commissario per favorire Pizzetti e il suo allievo Tommaso Francesco Giupponi. Per i pm si è trattato di «uno scambio di favori», tra commissione dello stesso concorso, che nessuno dei due ha poi vinto.
Le intercettazioni hanno però svelato un sistema ben poco trasparente nella scelta dei candidati, coinvolgendo decine di professori universitari, da Silvia Niccolai (candidata dal M5S alla Consulta nel 2014) a Giuseppe de Vergottini, anche lui tra i «saggi» del Quirinale.
Nell'inchiesta di Bari, di cui un filone è stato trasferito a Roma e un altro a Milano, si parla di concorsi pilotati, di cattedre assegnate agli amici, di «pizzini» anche telematici.«Ho depositato una memoria ed ho chiesto di essere interrogato. Attendo che ciò avvenga per poter chiarire al più presto la mia posizione», ha dichiarato Barbera.
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