La sinistra accusa la Gdf. "Indagini approssimative"

L'ufficiale Gdf incassa i colpi bassi (in un organo giurisdizionale l'immunità non vale, dice la Cassazione) e conferma quanto già emerso in commissione Covid

La sinistra accusa la Gdf. "Indagini approssimative"
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"Uno spreco da duecento milioni di soldi pubblici" in commissioni per mascherine cinesi farlocche e strapagate dal commissario Domenico Arcuri, ingannando Cts, Inail e Iss. In commissione Covid parla il maggiore Gdf Eugenio Marmorale, capo sezione Dna dell'Ufficio analisi della Valutaria. Nell'audizione (più volte secretata) si parla delle 800 milioni di mascherine costate quasi 1,25 miliardi, Pd e M5s buttano invano la palla in tribuna per la mole di carte da "studiare".

Si parla delle chat tra Arcuri e il mediatore Mario Benotti (deceduto), un passato nello staff dei Pd Sandro Gozi, Graziano Delrio e Paolo De Castro. "Tra loro oltre 1.200 interazioni tra telefonate sms e due chat", dice il maggiore - una personale iniziata il 19 luglio 2017 - da cui emergerebbero più incontri di persona, con Benotti che sapeva della nomina di Arcuri "con pieni poteri su emergenze e acquisti" già l'11 marzo (sarà decisa da Giuseppe Conte il 18). "Si viola la privacy", urlano Alfonso Colucci (M5s), Ylenia Zambito e Francesco Boccia del Pd, che contestano le ricostruzioni "approssimative" della Finanza che "non distingue mele e pere", agitando possibili sovrapposizioni con le Procure. Ma i messaggi whatsApp negli atti giudiziari non sono riservati. "Non ci sostituiamo ai pm, andremo in fondo", dice Galeazzo Bignami a nome di Fdi.

L'ufficiale Gdf incassa i colpi bassi (in un organo giurisdizionale l'immunità non vale, dice la Cassazione) e conferma quanto già emerso in commissione Covid, come la documentazione falsa per validare le mascherine, vicenda di cui era al corrente l'ex sottosegretario M5s a Palazzo Chigi Riccardo Fraccaro.

La sinistra sostiene che il prezzo fosse congruo perché il produttore si faceva carico del trasporto, modalità però vietata in Cina per evitare evasioni fiscali, tanto che la struttura commissariale pagava società di trasporto come la Neos, mentre le offerte di ambasciate e società italiane venivano ignorate pur di favorire un sodalizio formato da Benotti e altri soci, accusati di frode, riciclaggio e traffico di influenze ma non di delitti contro la salute, con società beneficiarie di affidamenti nate da poche settimane e senza esperienza. "Tanto che persino Massimo D'Alema favorì Benotti", ricorda Antonella Zedda di Fdi.

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