Qatargate

La sinistra copre le tangenti con accuse di torture ai pm

Le critiche della Kaili ai metodi della giustizia belga usate per sminuire la gravità dell'inchiesta

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Ripercorre per la prima volta i quattro mesi trascorsi in carcere preventivo nella prigione di Haren, Bruxelles, dopo l'arresto nel dicembre scorso nell'ambito dell'inchiesta Qatargate che ha terremotato il Parlamento europeo. Ricorda «il freddo gelido, perché mi è stato tolto il cappotto», nella cella da cui «per i primi giorni non mi è stato permesso di chiamare un avvocato, né la mia famiglia». E la «tortura» di non poter vedere la figlia di tre anni per quasi un mese, perché non avrebbe confessato la sua colpevolezza né fatto «nomi importanti». Eva Kaili, in un'intervista al Corriere della Sera pochi giorni dopo essere uscita dal carcere - ora è in libertà senza braccialetto elettronico, ma con il divieto di lasciare il Belgio -, grida ancora la sua innocenza. Ma lancia anche un atto d'accusa contro i «metodi» della giustizia belga e le condizioni delle carceri nel Paese.

Il caso della detenzione preventiva dell'ex vicepresidente del Parlamento Ue ha scosso l'opinione pubblica e sollevato giuste riflessioni sul sistema giudiziario belga. Ma è diventato anche la bandiera di chi critica l'inchiesta nel tentativo di sminuirne l'impianto accusatorio e di farne l'arma di una strumentalizzazione politica. Al netto dei molti punti che restano da chiarire, quanto emerso finora dovrebbe imporre quantomeno prudenza, perché gli atti sono ancora segreti. L'inchiesta ha travolto l'immagine dell'istituzione europea, e per ora, il gruppo dei Socialisti e democratici, con l'accusa di una presunta corruzione da parte di Qatar e Marocco per ammorbidire le posizioni di Bruxelles. Alla base degli arresti del dicembre corso ci sono i contanti, sospette mazzette. Quasi due milioni di euro in tutto in due sequestri: a casa di Antonio Panzeri, l'ex europarlamentare Pd considerato il dominus del presunto sistema corruttivo, e in quella della stessa Kaili e del compagno Francesco Giorgi. Quest'ultimo, anche lui arrestato e poi rilasciato dopo alcune parziali ammissioni, era l'ex assistente di Panzeri all'europarlamento, poi transitato con il dem Andrea Cozzolino, ora ai domiciliari in Italia in attesa della decisione sulla sua estradizione. Lui ha sempre dichiarato la sua totale estraneità ai fatti. Sarebbe stato lo stesso Panzeri, a fare il nome di Cozzolino, oltre a quelli di Kaili e dell'altro europarlamentare socialista Marc Tarabella. Ammissioni fatte nell'ambito di un accordo di collaborazione con la Procura federale che ha trasformato Panzeri in un pentito. Si tratta di ammissioni che da sole non sono sufficienti, andranno trovate le prove che quei contanti siano frutto della corruzione.

Panzeri però avrebbe ricostruito lo schema in modo circostanziato. In un verbale del 13 febbraio parla di un incontro a Doha, «nel 2019, con Al Marri (ministro del Lavoro del Qatar). Penso che Kaili fosse presente, ma la decisione presa, in termini di denaro per i deputati, includeva anche lei. È importante smentire l'idea che io sia il grande capo - ha anche voluto dire -. Queste persone accettavano denaro in cambio della tutela degli interessi del Qatar come parte del loro lavoro parlamentare». Kaili ha sempre smentito e ha motivato così al Corriere la sua telefonata al padre con la richiesta di prendere la valigia con i soldi a casa sua: «Sono andata in panico. Sapevo che () c'era una valigia di Panzeri e ho trovato un sacco di soldi. Non riuscivo a capire cosa fosse successo, ma volevo allontanare da casa quel denaro per ridarlo a Panzeri, colui che credevo ne fosse il proprietario». E poi c'è il filone di indagine sulla corruzione marocchina. Agli atti dei magistrati ci sarebbero incontri con le persone coinvolte nell'inchiesta e uomini del servizio segreto di Rabat.

Le indagini non sono finite.

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