
Qualcuno non l'ha pure notato, magari per nascondere l'enormità del caso: nel «premier time» della Camera la parola Ucraina non è stata neppure pronunciata o magari, ma è difficile, una volta solo di sfuggita. Eppure alla vigilia dell'incontro tra russi e ucraini su cui sono puntati tutti i riflettori del mondo e con Trump e Zelensky che premono su Putin per spingerlo ad essere presente a Istanbul, francamente quel vuoto, quel parlar d'altro, quel passare oltre appare come minimo stravagante o peggio, per usare l'espressione dell'azzurro Piergiorgio Cortellazzo, «allucinante». A parte la filippica di Giuseppe Conte contro il riarmo e l'assenza nella foto dei volenterosi a Kiev della Meloni stigmatizzata dalla Boschi, non c'è stato nessun altro seppur lontano riferimento. E passi per Giorgia Meloni, che doveva rispondere alle domande, l'assurdo è stato l'atteggiamento dell'opposizione che non ne ha fatto cenno come se l'Italia fosse parte di un altro continente e non di un'Europa che dopo ottant'anni è tornata a conoscere l'orrore della guerra.
La ragione di questa omissione è semplice e gratta gratta viene fuori. «Certo ci sono i temi sociali sollevati dalla Schlein - ammette a mezza voce il piddino Nico Stumpo in mezzo al transatlantico di Montecitorio - ma la verità è che il tema della guerra in Ucraina ci divide. Nel nostro mondo, alquanto vario, c'è chi pensa chissenefrega di Zelensky e che alla fine l'Ucraina ha rotto le scatole». Poco più in là un altro piddino, Vinicio Peluffo, individua il problema politico. «Noi abbiamo l'armata Brancaleone pacifista - osserva - come loro hanno Salvini: risultato la Polonia che ci ha sostituito nel vertice di Kiev, ci ha scavalcato».
Ma quel coro a sinistra che punta l'indice contro l'assenza della premier al vertice europeo nella capitale ucraina, per alcuni versi è addirittura un aggravante. Se come dice l'ex ministro Vincenzo Amendola «la Meloni è ormai fuorigioco», perché nessuno ha evidenziato le debolezze sull'argomento Ucraina del suo governo? Semplice: perché sarebbe stato il tipico caso in cui il bue dà del cornuto all'asino. Se la Meloni se la deve vedere solo con Salvini, infatti, la Schlein ha guai ancor maggiori: è tirata per la giacca da mezzo Pd, dalla sinistra radicale e naturalmente dai 5stelle. «Questo per la Schlein - spiega Riccardo Magi - è il problema dei problemi». Ragion per cui meglio glissare o al massimo dedicarsi al forfait della Meloni alla photo opportunity di Kiev.
Ora - per essere equanimi - non è che la destra sia compatta sull'Ucraina. E quando si fa notare la dimenticanza che c'è stata ieri nell'aula di Montecitorio specie i forzisti non nascondono le loro perplessità. «Purtroppo - ammette Andrea Orsini, già ghostwriter del Cav - è il contesto in cui ci troviamo a vivere». Mentre il ministro Pichetto Fratin glissa con una battuta: «l'Ucraina è all'estero». Come pure non è un segreto che Antonio Tajani a Kiev ci sarebbe andato e che sul tema preferirebbe una politica più marcatamente vicina a quella delle altre capitali europee e meno condizionata dagli umori di Washington. Diversità di opinioni che si riscontra nella scelta del nostro ambasciatore negli Usa: la Meloni - a quanto pare - vorrebbe Mario Vattani mentre il ministro degli Esteri qualcun altro.
Detto questo, però, sull'Ucraina e sulla necessità del riarmo, malgrado i dolori di pancia della Lega, la premier ha sempre avuto una posizione chiara e senza tentennamenti a favore di Kiev e contro il Cremlino. Tant'è che ai suoi Tajani ci tiene a precisare: «Io non condivido una virgola di quello che dice Salvini ma la Meloni è tutta un'altra cosa». Questo significa che alla fine, gira che ti rigira, con qualche mediazione, è sempre la Meloni a decidere. Salvini pone riserve, prende le distanze, ma alla fine non rompe mai. La premier continua a mantenere questo ruolo di cerniera tra Washington e Bruxelles ma è più una sua strategia (si vedrà quanto azzeccata ndr.) che un cedimento alle pretese del leader leghista.
La Schlein, invece, appare condizionata dalla sua «armata Brancalone pacifista» anche perché le divisioni non riguardano solo i rapporti con gli alleati ma passano dentro il Pd. Divisioni che in una compagine di governo si rivelerebbero devastanti.
«La Meloni - osserva dall'alto della sua esperienza quarantennale in politica, Bruno Tabacci - è in difficoltà: la sua assenza dalla foto con i premier dell'Europa che conta raffrontata di quella di Draghi sul treno per Kiev con Macron e Scholz ne è la prova. Ma con questa opposizione dove vai?».
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