La sinistra sparisce: il Pd dimezza i voti e tenta la carta Calenda

Crollo dem: dal 25 all'11%. Il presidente oggi firma il manifesto: «Sfidiamo i populisti»

La sinistra sparisce: il Pd dimezza i voti e tenta la carta Calenda

U no spettro si aggira per l'Europa. No, non è il comunismo (di marxiana memoria). È lo spettro del centrosinistra italiano. Evanescente e impalpabile. Se non fosse per il voto degli elettori, si direbbe un'entità astratta. Nelle regionali abruzzesi la coalizione, che voleva portare Giovanni Legnini a guidare il governo regionale, si è fermata al 30% dei consensi. Una debacle. E soprattutto una bocciatura della stessa strategia adottata per il voto di domenica. Non solo il Pd (che ha governato fino a oggi la Regione) ha perso. Ma ha più che dimezzato i suoi voti. Il Partito democratico infatti è passato dal 25,41% dei voti (con 11 seggi) nel 2014 all'11,1% di ieri (con 3 soli seggi). La coalizione di centrosinistra ha sì raccolto in totale il 31,3% dei consensi ma la presenza di molte liste ha frammentato il voto e rischia di dare meno seggi rispetto ai grillini che con Sara Marcozzi sono al 20%. La Corte d'Appello dovrebbe correggere questa anomalia ma al momento i dati forniti dal Viminale dicono che il centrosinistra prenderebbe 5 seggi mentre il Movimento 5 Stelle dovrebbe averne sei o sette.

Al di là delle anomalie, il risultato del centrosinistra resta un rebus soprattutto per la classe dirigente del Pd. Carlo Calenda continua a insistere che si doveva superare il simbolo del Pd e oggi incasserà la firma del suo manifesto «Siamo europei» da parte di Matteo Orfini a nome di tutto il Pd: «Iniziamo da qui per lanciare la sfida ai populisti». Eppure Calenda ieri twittava sconsolato: «Troppi distinguo e perdite di tempo. Inizio a pensare che forse va davvero costruito qualcosa di nuovo lasciando il vecchio centrosinistra e cespugli vari al loro destino». Fotografia affatto diversa da quella che offre il candidato Giovanni Legnini, soddisfatto almeno che la coalizione abbia superato il risultato delle ultime politiche: «I voti del Pd andati al M5s lo sorso anno, sono tornati alla nostra coalizione». Anche Nicola Zingaretti (candidato alla segreteria) insiste sulla coalizione di centro-sinistra. In Abruzzo questo «esperimento» non ha, però, prodotto gli effetti sperati. E ora si teme che ai prossimi appuntamenti (Sardegna il 24 febbraio e Basilicata il 24 marzo) possa andare anche peggio.

C'è poi la parentesi delle primarie. Il prossimo 3 marzo si sceglierà, infatti, il nuovo segretario del Pd. Maurizio Martina (uno dei candidati) continua a ripetere che il campo d'azione del Pd va allargato all'associazionismo impegnato sul territorio. Mentre i renziani fanno notare che l'abbraccio con la sinistra di Leu non aiuta il riscatto politico del Partito democratico e soprattutto non porta nemmeno un voto in più. E il solo Francesco Boccia, per il momento, offre come ipotesi futuribile un'alleanza proprio con i Cinque Stelle per arginare il sovranismo del centrodestra, che risulta vincente laddove si presenta unito. Paolo Gentiloni, invece, è preoccupato per il voto europeo di maggio, dove i partiti correranno separatamente e non n coalizioni. Le ultime performance del Pd rendono l'ottimismo una moneta rara. Se il candidato per la Sardegna è stato già scelto, resta aperta la questione Basilicata. Zingaretti, parlando da «segretario in pectore», si appella a tutti: «Fermatevi e riflettete. Andare con due o tre candidati è un errore politico».

Per adesso l'unico candidato che ha accettato di fare un passo indietro è quello di LeU, Piero Lacorazza. Gli altri due, Marcello Pittella (governatore uscente) e Carmen Lasorella (già volto noto del Tg2) non hanno fatto sapere niente.

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