Al suo ritorno dalle piste da sci di Courmayeur, ad attendere Matteo Renzi c'è un lungo e complicato slalom parlamentare. Una gara di rapidità e perizia lungo la quale il premier si gioca molta della sua credibilità e del suo programma, anche in vista delle elezioni amministrative. Sono due i provvedimenti fondamentali in dirittura d'arrivo: la riforma costituzionale (la cui corsa culminerà in autunno nel referendum, che deciderà anche delle sorti di Renzi) e la legge sulle unioni civili. Il ddl Boschi che riforma Senato e regioni è ancora alla Camera, dove l'11 gennaio è previsto il voto finale su un testo che, come previsto, non ha subito modifiche rispetto a quello uscito da Palazzo Madama. Passerà a larga maggioranza, ma nel Pd una parte della fronda interna, dalla solita Rosy Bindi ad un Pier Luigi Bersani che è di nuovo in fase di euforia anti-governo, sta meditando di prendere le distanze da quella che ormai è diventata la riforma cardine del renzismo. Non col voto contrario, troppo esposto, ma più prudentemente disertando l'aula alla chetichella, per poi far valere il proprio silenzioso dissenso quando si tratterà di fare la campagna referendaria. Sulla quale lo stesso Renzi non si fa illusioni: «Vedrete, la minoranza cercherà di remare contro come può», predice con i suoi.Poi il ddl Boschi dovrà tornare in Senato per la definitiva lettura, e il governo sta meditando di piazzarla subito all'ordine del giorno, prima che inizi l'esame d'aula della legge sulle unioni civili, previsto dal 26 gennaio. Una mossa che serve ad evitare contraccolpi sulla riforma costituzionale dentro la maggioranza, che secondo ogni previsione si spaccherà sulle coppie gay. L'ultima pronuncia di Palazzo Madama sull'abolizione del bicameralismo sarà una faccenda breve: il ddl verrà votato in blocco in un unico scrutinio. Ma è richiesta la metà più uno dei componenti dell'assemblea.
Servono quindi almeno 161 voti, ed è meglio assicurarsi che gli ultrà cattolici di Ncd lo votino, prima di salire sulle barricate contro le unioni civili, anche se il margine numerico sulla riforma è garantito dai i voti dei senatori di Denis Verdini. Appena messa in sicurezza la riforma del Senato, a fine gennaio si potrà aprire la pratica del riconoscimento delle coppie gay, che sta molto a cuore a Renzi per recuperare consensi a sinistra prima delle Amministrative di giugno. Il punto più intricato resta quello delle adozioni interne alla coppia, che secondo il fronte anti-gay aprirebbero una selvaggia deriva verso il cosiddetto «utero in affitto» (che però in realtà è e resta vietato). Ieri il sottosegretario Ivan Scalfarotto ha smentito, a nome del governo, le voci su un'ennesima bislacca mediazione (una sorta di affido al posto dell'adozione) diffuse da alcuni giornali: la linea del Pd «è chiarissima» e non prevede pasticciati compromessi sul tema, spiega: «La normativa riprende il modello tedesco (e cioè unioni civili con stepchild adoption) lanciato alla Leopolda del 2012 e contenuto nella mozione uscita larga vincitrice dal congresso 2013, come ha chiaramente ribadito Renzi nella conferenza stampa di fine anno». Del resto, fanno notare i dirigenti democrat, inseguire fantomatiche mediazioni «è inutile, visto che avrebbero senso solo per tenere unita la maggioranza. E questo non avverrà, perché€ Alfano è già d'accordo con Renzi: lui voterà comunque contro, per non spaccare Ncd e litigare coi vescovi, ma non farà obiezioni se la legge verrà approvata coi voti di Cinque Stelle, adozioni incluse». E i grillini hanno messo in chiaro che non voteranno senza la stepchild adoption: «Niente passi indietro». Resta piuttosto il rischio del voto segreto sulle questioni «etiche»: il M5s potrebbe far mancare i suoi voti, nel buio dell'urna, per poi dare la colpa al Pd e a Renzi.Se Renzi riuscirà a portare a termine lo slalom, resta l'ultima, pesante incognita all'orizzonte: quel referendum costituzionale, previsto per ottobre, cui il premier potrebbe arrivare già indebolito dalle amministrative e nel quale ha annunciato di giocarsi tutto.
Già si prefigura una partita con lui da una parte e il tutti contro Renzi dall'altra a dire no alla riforma: Berlusconi, Salvini, Grillo, la sinistra e pure la minoranza Pd che, con Bersani, già prende le distanze dal «plebiscito del governo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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