Alla vigilia della riunione Bce, Mario Draghi sembrava un uomo intento a schivare le pallottole vaganti dentro l'Eurotower. Fuoco amico, o quasi, provenendo i colpi da quella parte del direttivo che, un po' genericamente, viene geotaggata a Nord e il cui capobranco è il leader tedesco della Bundesbank, Jens Weidmann. Gli insider delle segrete cose della banca centrale lasciavano filtrare il racconto di un board lacerato, sul punto di implodere, in cui molti erano pronti alla resa dei conti, imputando al presidente scarsa collegialità ed eccessivo decisionismo. Draghi, come spesso capita, ha invece ieri spiazzato un po' tutti. «Non vi è una coalizione di alcune forze contro altre, una divisione Nord contro Sud in seno al consiglio direttivo della Bce» ed è «normale avere divergenze di opinioni» sulle misure da prendere, ha detto durante la conferenza stampa che ha seguito la riunione in cui il direttivo ha lasciato invariati i tassi al minimo storico dello 0,05%.
Non è dato sapere se la ritrovata coesione sia frutto di un intenso lavoro di ricucitura durante la cena di mercoledì tra i governatori. L'appuntamento rischiava di essere tutt'altro che conviviale: semmai l'occasione giusta, secondo le indiscrezioni, per manifestare il dissenso rispetto alle ultime decisioni dell'Eurotower. Invece, il pasto serale «è andato bene, anzi meglio del previsto». Sarà che «per molte ore» si è discusso del programma di acquisto di Abs, quei prestiti bancari cartolarizzati che avevano fatto storcere il naso alla Francia, in disaccordo con l'idea di affidare a istituzioni esterne l'esecuzione degli acquisti per conto della Bce. Parigi, infatti, ha portato a casa il risultato che voleva: anche le banche centrali nazionali potranno prender parte allo shopping.
L'impressione è che la cena abbia chiarito alcuni punti che costituivano motivo di attrito, in un momento in cui serve più che mai unità d'intenti, con un'Eurozona tra l'incudine di una ripresa sempre più fiacca e il martello incalzante della deflazione. Il numero uno dell'istituto di Francoforte non ha esitato a parlare di «un indebolimento della dinamica della crescita» che indica «una revisione al ribasso dell'espansione del Pil reale fino al 2016». Serve dunque una politica espansiva, di supporto. E a questo proposito, Draghi ha più volte sottolineato di voler riportare il bilancio della Bce ai livelli del marzo 2012, cioè dopo le due aste Ltro destinate alle banche. Insomma, i conti dovrebbero essere gonfiati di circa 1.000 miliardi, proprio la cifra ritenuta indigeribile da Weidmann e da alcuni governatori.
Uno scatto in avanti non concordato? Improbabile. Draghi ha infatti rivelato che «a dicembre saremo pronti a una discussione ad ampio raggio sulle decisioni da prendere». A questo scopo, una squadra di tecnici è già all'opera «per preparare tempestivamente ulteriori misure da adottare».
Posto che il consiglio «è unanime» sulla possibilità di usare «anche strumenti non convenzionali», resta da vedere se tra questi sia anche compreso l'acquisto di titoli pubblici, quel quantitative easing sollecitato ieri anche dall'Ocse. Draghi si è limitato a dire che «se non si tratta di monetizzazione del debito, siamo entro il nostro mandato». In dicembre sapremo se l'acquisto di bond sovrani può partire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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