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Solo parole tra Conte e Macron. Intanto ne sbarcano oltre 100

La Francia neo-sovranista non cede e ci rimanda i suoi. E il premier buonista tocca il record: arrivi in aumento

Solo parole tra Conte e Macron. Intanto ne sbarcano oltre 100

Per capire come sia andata la cena di ieri sera tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente francese Emmanuel Macron meglio evitare il verboso ottimismo di un premier pronto a giurarci di aver strappato un' «intesa europea» su redistribuzioni e rimpatri di migranti capace di salvarci dalla nuova ondata di sbarchi figlia della riapertura dei porti imposta dall'esecutivo giallorosso. I fatti ci dicono che mentre ieri sera, a Roma, Macron passava dai convenevoli con Sergio Mattarella alla tavola imbandita di Palazzo Chigi a Ventimiglia i gendarmi francesi finivano, come ogni giorno, di rispedire al mittente, cioè a noi, una settantina di migranti irregolari. Una consuetudine accompagnata dallo sgombero di mille migranti in un campo del nord della Francia, dalle promesse di tagliare le spese mediche destinate ai richiedenti asilo e dalle parole usate lunedì da Macron per spiegare ai propri deputati che di fronte all'immigrazione «l'umanitarismo può trasformarsi in lassismo». Il tutto mentre il nostro premier faceva invece i conti con i 102 disperati arrivati su un barcone a Lampedusa, con i 109 raccolti da una Ocean Viking pronta a sbarcarli in un porto sicuro inevitabilmente italiano e con le amare statistiche del Viminale che, in precisa e puntuale concomitanza con l'insediamento del nuovo governo, registrano, per la prima volta, sbarchi su base mensili superiori a quelli del 2018. E Salvini chiosa: «Record di aumento dopo 18 mesi di cali. Conte si fa prendere in giro da Macron. Da avvocato del popolo a traditore del popolo, che misera fine».

I fatti ci dicono insomma che quello di ieri sera non è stata una cena, ma un surreale seppur sommesso - scontro tra due personaggi protagonisti di un bizzarro scambio di ruoli. Una cenetta «scambista» in cui il Macron neo-sovranista, pronto a sferzare la sinistra francese «colpevole di non aver affrontato per decenni il problema dell'immigrazione», ascoltava con un ghigno di commiserazione il neo-umanitarista Giuseppe Conte pronto a pietire porti «sicuri» nella vicina Corsica per quelle navi delle Ong trasformatesi, nella sua rivista e corretta linea politica, da «taxi dei mari» in organizzazioni meritorie e indispensabili. Ma nel corso di quella cena delle beffe il nostro premier ha dovuto inghiottir amaro anche sull'altra questione cardine ovvero la richiesta di assegnare preventivamente alla Francia, come alla Germania, un quarto dei clandestini a cui l'Italia si ritroverà nuovamente obbligata a concedere un «porto sicuro». Confermando le posizioni di sempre Macron ha ribadito che gli irregolari sono un affare tutto italiano. Affare risolvibile, secondo Macron, solo se e quando l'Europa riuscirà a concludere accordi di rimpatrio con i paesi d'origine. Del resto per capire come anche su questo punto gli accordi di collaborazione sognati dai giallorossi fossero pie illusioni bastava ricordare le pretese di una Francia decisa a «restituirci» - trattato di Dublino alla mano - almeno 140mila migranti economici transitati nei suoi territori dopo lo sbarco in Italia.

Una tiepida speranza d'intesa è invece arrivata sulla Libia dove la Francia è stata, fino allo scorso aprile, la più fedele alleata del generale Khalifa Haftar e la più tenace avversaria, fin dai tempi di Marco Minniti, di tutti i tentativi di stabilizzazione promossi da Roma. Ma a favorire il disgelo non è stato certo l'attivismo di Conte protagonista, ieri mattina, di un incontro con il premier libico Fayez Serraj in cui si è ribadita la necessità di «operare di concerto con partner internazionali e in stretto coordinamento con l'inviato delle Nazioni Unite Ghassan Salamè, per porre fine al conflitto e rilanciare il processo politico».

La verità, nascosta dietro i fumosi comunicati ufficiali, è che dopo il conflitto scoppiato ad aprile sia la Francia sia l'Italia hanno perso buona parte della loro influenza. Da una parte Emirati Arabi ed Egitto hanno sottratto a Parigi il ruolo di alleato fondamentale del generale Haftar, dall'altra la pesante entrata in gioco della Turchia a fianco di Tripoli ha ulteriormente ridotto il nostro spazio d'azione.

In questo contesto Parigi non ha problemi ad accettare una collaborazione con l'Italia per disegnare una strategia comune legittimata dall'Onu e dalla comunità internazionale. Ma anche qui senza regalarci nulla e puntando, nel lungo periodo, ad estendere la propria influenza dalla Cirenaica all'intera Tripolitania.

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