Nella stanza di Luigi Di Maio, l'occhio dei fedelissimi non si schioda dal barometro dei sondaggi. Sia le rivelazioni pubbliche, sia le indagini «coperte», commissionate dal leader grillino e arrivate direttamente sulla sua scrivania, segnano l'allarme rosso. E il sentiment della base, analizzato dalla Casaleggio Associati, che non prevedrebbe particolari proteste in caso di addio al limite dei due mandati e no all'autorizzazione a procedere per Matteo Salvini, rappresenta soltanto una magra consolazione. Così, se come dicono i pentastellati vicini al capo «la base capisce», sarebbe la massa degli elettori a non capire più il M5s. Riversandosi sul Carroccio e preferendo un governo con la classica formazione di centrodestra all'esecutivo gialloverde, imperniato su un contratto a cui nemmeno i due contraenti principali credono più di tanto.
A preoccupare negli ultimi giorni, come si diceva, sono i sondaggi. In particolare uno, che gira di mano in mano nei piani alti, vedrebbe il Movimento al suo peggior risultato di sempre, se si escludono le prestazioni elettorali da prefisso telefonico ottenute prima dello storico 25% delle elezioni politiche del 2013. La cifra che fa sobbalzare dalla sedia lo stato maggiore vedrebbe i Cinque stelle al di sotto, di qualche decimale, della «soglia psicologica» del 20%. E non si parla di una rilevazione centrata sul voto europeo del prossimo maggio, ma di un'indagine su base nazionale del tipo «Se si votasse oggi, per chi voteresti?». Niente di immediato dunque, sono numeri che potrebbero fluttuare nel tempo fino alla caduta o alla scadenza naturale del governo. Ma si tratta di una tendenza, aggravata dall'incubo di un Pd e di un centrosinistra unito, seppur confuso e disorientato, pericolosamente vicino ai consensi dei pentastellati. È su questo punto che si concentrano le riflessioni delle menti grilline un po' più lungimiranti, terrorizzate dalla possibilità della restaurazione di un bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra.
Oltre ai sondaggi riservati, ci sono le rilevazioni pubbliche effettuate dopo il tonfo abruzzese. Secondo un'analisi di Antonio Noto, il Movimento si attesta al 23%, 10 punti in meno rispetto al 4 marzo. Con la Lega che passa dal 17% delle politiche al 33%.
Ieri è stata anche la giornata dell'attacco di Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, da sempre vicinissimo al M5s. Nel suo editoriale il direttore ha parlato di «crisi d'identità», dipingendo un «M5s che non sa che pesci pigliare, o preferiscono che a pigliarli al posto loro sia la base».
«Chi ha sempre predicato che i politici devono difendersi nei processi - ha scritto Travaglio - e non dai processi perché nessuno può essere sottratto alla legge e dunque alla magistratura, non può avere dubbi sull'autorizzazione a procedere per Salvini». Infine ha invitato gli attivisti a votare contro il leader del Carroccio. Di Maio ha trovato un altro dissidente.
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