«Fini non ha più le coperture di un tempo, direi che è un po' orfano di protezioni, o almeno si sono indebolite. Eppure in quegli anni la terza carica dello Stato italiano, e cioè il signor Fini, godeva di una super protezione, tanto a livello nazionale che internazionale. Non tocca a me dare le pagelle ai magistrati. Sono convinto che la Procura di Roma e il gip che ha formulato la richiesta di arresto per Tulliani abbiano ben inquadrato la figura di Fini in tutta questa vicenda. Adesso si tratta di avere pazienza e aspettare la fine della storia». L'ex parlamentare di An Amedeo Laboccetta è diventato il principale accusatore di Fini nell'inchiesta sui soldi di Corallo e gli affari della famiglia Tulliani, inchiesta che riguarda lo stesso Laboccetta come ex consulente dell'imprenditore delle slot e ufficiale di collegamento tra la Atlantis e l'allora presidente della Camera.
Fu lei a presentarli, e sempre lei a raccontare che fu Fini in persona a chiedere a Corallo di attivarsi per trovare casa a Montecarlo.
«È quello che ho riferito con precisione ai magistrati. In quell'incontro Fini fece intendere che l'aspirazione sua e della compagna Elisabetta Tulliani fosse quella di avere una casa a Montecarlo. E Corallo si mostrò disponibile».
Dunque Fini non sarebbe il «coglione» (epiteto usato da lui stesso) utilizzato a sua insaputa dai Tulliani, ma avrebbe un ruolo da protagonista in tutta la vicenda.
«Macché coglione... Solo politicamente è stato un coglione, perché si è fatto illudere da Napolitano che facendo il killer di Berlusconi sarebbe diventato premier di un governo istituzionale. Ma sulla casa di Montecarlo no, sapeva tutto. Io penso che sia arrivato il tempo per Fini di raccontare la verità, gli italiani hanno capito com'è andata la storia, se continua in questo suo atteggiamento si fa male da solo. Apra il suo cuore e gli archivi, magari potrebbe aiutare a riabilitare la sua immagine. Anche se non sarà facile».
Fini ha già annunciato che la querela.
«Che ci provi, controquerelerò subito lui per calunnia. Lo sfido in qualsiasi sede in un contraddittorio. Io ho ricostruito in un libro, con testimonianze dirette, quel che ho visto, sentito, toccato con mano durante l'ignobile manovra di palazzo, un vero colpo di Stato, andato in scena nel 2010. Nessuno mai ha smentito, né Fini né tantomeno Napolitano. Dovrebbe essere il Parlamento ad avviare una seria attività di indagine su quegli anni opachi. Altrimenti lo farà la magistratura».
Lei conosceva Fini da molto tempo, già dagli anni del Msi. Come spiega il suo comportamento?
«Non voglio entrare nelle vicende personali altrui, ma sicuramente la famiglia Tulliani ha molto condizionato l'operato e le scelte di Fini sul piano politico e dei rapporti istituzionali. In particolare Giancarlo Tulliani, una persona innamorata solo della bella vita, del lusso e della ricchezza».
Sta dicendo che ha contagiato Fini.
«Le racconto un aneddoto, per farle capire a che punto di boria era arrivato. Ci portò all'Antica Pesa di Roma: io, Corallo, Elisabetta e Giancarlo Tulliani. In questo ristorante mi hanno dedicato una bottiglia d'acqua personalizzata disse Fini. Arrivò in effetti un cameriere con una bottiglia e l'etichetta dedicata al presidente della Camera. La imbottigliano solo per me. Un gesto di attenzione per un uomo importante come me. Rimasi sbigottito. Non riuscivo a capacitarmi di come Fini non capisse che era un'usanza per i clienti più in vista, nulla più. E infatti ce n'era anche una dedicata ad Alemanno. Quando lo dissi a Fini, sbiancò».
Lei lo ha
definito «un uomo ossessionato dal potere».«E un piccolo politico. Una volta Almirante ci disse: Ricordate, passeranno vent'anni almeno prima che gli italiani capiscano chi è davvero Fini. Solo un gran bel megafono».
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