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"Sono stato intercettato 500 volte in 3 anni perché parlavo con un amico fraterno"

L'ex senatore dem: "Mi avevano identificato, ma non si sono fermati"

"Sono stato intercettato 500 volte in 3 anni perché parlavo con un amico fraterno"

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"Sono stato intercettato 500 volte in 3 anni perché parlavo con un amico fraterno"

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Ripete un numero: «Mi hanno intercettato 500 volte, 500 volte in tre anni».

Come è possibile, dottor Esposito?

«È quello che voglio sapere - risponde Stefano Esposito. - Dicono che erano conversazioni casuali, ma par di capire che dopo 10 giorni mi avevano identificato e avevano capito che ero un senatore. Del resto non era difficile scoprire la mia identità. Non è che parlassimo con linguaggio criptato o allusivo».

Un attimo: chi era il bersaglio della Procura di Torino?

«Il bersaglio, come lo chiama lei, era Giulio Muttoni, imprenditore molto noto nel settore dei concerti. Io parlavo con lui, era lui che veniva ascoltato, sia chiaro. Solo che al telefono si discute in due e ogni volta che io componevo il suo numero o viceversa, partiva la registrazione».

E lei che c'entra con Muttoni?

«Siamo amici, come fratelli, da trent'anni e ci sentiamo di frequente».

Quanto sono andate avanti le intercettazioni?

«Tre anni, dal 2015 al 2018, però per la procura di Torino sono causali e quindi si possono utilizzare».

Ma che cosa le contestano?

«Ufficialmente rientro nel grande calderone della cosiddetta Bigliettopoli, ovvero favori in cambio di presenze omaggio agli eventi musicali, ma in realtà la mia vicenda non c'entra niente».

In sostanza?

«Nel 2010 Muttoni mi presta 150mila euro. Attenzione: con tanto di bonifico, non in nero o altro modo opaco. Sono soldi che mi servono per comprare una casa. L'anno dopo glieli restituisco».

D'accordo, ma dove sarebbe il reato?

«I passaggi sono tortuosi, ma ci arrivo. Nel 2015 lui subisce una interdittiva antimafia e io gli consiglio un avvocato. Per la procura mi do da fare per aiutarlo e il tutto viene ricollegato al prestito saldato quattro anni prima. In ogni caso, nel 2015 parte l'indagine, prima sui di lui e poi a cascata su di me, e cominciano le intercettazioni. Che mi colpiscono di rimbalzo, ma centinaia di volte».

I suoi avvocati hanno invocato l'immunità?

«Certo, ma la procura ha tirato dritto per la sua strada e il gup, quando siamo arrivati in udienza preliminare, non ha mai risposto alle nostre obiezioni. Anzi, il giudice mi ha rinviato a giudizio per corruzione, turbativa d'asta e traffico di influenze portando come primo elemento di prova proprio le trascrizioni delle telefonate fra me e Muttoni. In ogni caso, nessuno ha interpellato il Senato».

E il Senato che posizione ha preso?

«Sono stato ascoltato dalla giunta per le immunità e Pietro Grasso, in passato autorevolissimo magistrato, ha colto la portata della vicenda; poi Palazzo Madama ha sollevato il conflitto di attribuzione con la procura di Torino davanti alla Consulta».

Quando si discuterà il caso?

«L'udienza è prevista a novembre».

Ci sono analogie con la vicenda Renzi?

«Renzi ha vinto la sua battaglia contro la procura di Firenze, ma in quel caso si ragionava su chat e watshapp, insomma si doveva aggiornare ai tempi contemporanei la protezione riservata al parlamentare, per quanto mi riguarda siamo davanti a una marea di telefonate. E a questo punto è partita pure l'azione disciplinare».

Il processo invece a che punto è?

«A otto anni dall'incipit e a cinque da quando ho scoperto di essere indagato siamo ancora alle battute iniziali».

Lei non è più in parlamento.

«No, con la politica e anche col Pd ho chiuso.

Sono tornato al mio lavoro in prefettura e faccio il consulente per diverse aziende».

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