Quattro anni fa era un altro mondo. Politicamente il solito da quarant'anni: due partiti a contendersi il voto. José Luis Zapatero, che tutti chiamavano «bambi» per i suoi occhioni, convocava elezioni anticipate. Passava la palla ad Alfredo Rubalcaba; dall'altra parte la destra schierava Mariano Rajoy. Uomo grigio, con carisma zero, dicevano tutti. Schemi facili senza sbavature: destra o sinistra, Partito Popolare o Partito Socialista. Dopo Franco è stato sempre così. Oggi invece, la Spagna al voto vive un cambiamento epocale, e non solo perché non c'è più re Juan Carlos sul trono. A rubare la scena ai due partiti tradizionali, ci sono i movimenti partiti dal basso che in questi anni di crisi, rabbia e paura si sono gonfiati fino a diventare ben più che un rischio per Rajoy e Pedro Sanchez, il segretario del Psoe, chiamato «il bello» che l'anno scorso in Italia era stato applaudito sul palco con Renzi e la camicia bianca d'ordinanza. Niente cravatta nè giacca, per vestire quella visione fresca e nuova della politica, il sogno che da Obama doveva passare per i «ragazzi» della sinistra europea. Oggi, a confronto con gli avversari sembra già invecchiato. Sì perchè da un lato c'è Albert Rivera, l'«enfant prodige», avvocato tutta ambizione di 37 anni, di Ciudadanos, l'anti-casta centrista e dall'altro Pablo Iglesias, 37 anni, professore universitario di Scienze politiche, con la coda di cavallo e la barba da alternativo intellettuale e un po' arrabbiato di Podemos, partito di sinistra nato dagli «indignados».Oggi la Spagna alle urne dovrà avere il coraggio di scegliere la tradizione o puntare sul nuovo, vecchi contro giovani e in mezzo tanta incertezza. Scelta sofferta per un Paese tradizionalista e conservatore che però ha dovuto fare i conti in questi anni con una crisi pesantissima, tra le peggiori in Europa, che ha lasciato senza lavoro quattro milioni di persone, 150 mila famiglie senza casa. Gli analisti prevedono che l'affluenza alle urne sarà «alta», un segno che potrebbe essere positivo per Rajoy, che infatti viene dato in leggerissimo vantaggio, ma tutto è traballante sotto la soglia della maggioranza. Quattro schieramenti per una poltrona che difficilmente - da come prevedono i sondaggi- sarà esclusiva per uno di loro, nessuna maggioranza assoluta e servirà allora una coalizione. Novità assoluta che gli stessi politici digeriscono a fatica. Allearsi sì ma con chi. Se le proiezioni si avvereranno ci potrebbe essere un testa-a-testa tra socialisti e Podemos da un lato e socialisti e Ciudadanos dall'altro. Almeno uno spagnolo su quattro è indeciso, e a quest'incertezza contribuisce senza dubbio il fatto che per la prima volta il sistema politico spagnolo esce dal meccanismo dell'alternanza per offrire più scelta all'elettore, chiamato a indicare chi nei prossimi anni dovrà sciogliere nodi cruciali come l'ineguaglianza crescente, gli alti livelli di disoccupazione, gli scandali, e le ansie indipendentiste della Catalogna. Eppure il notaio di Santiago di Compostela, l'uomo che per due volte aveva sfidato Zapatero e per due volte era stato sconfitto, alla fine, tenace e caparbio era riuscito nell'impresa che avrebbe demoralizzato chiunque. In questi quattro anni si è dimostrato meglio di come lo avevano raccontato i detrattori. I difetti si sono trasformati in pregi che hanno risollevato il Paese. Quel grigiore applicato alla politica è diventata una gestione ligia e obbediente alle regole imposte da Bruxelles e dalla Merkel. La sua campagna punta proprio sulla ripresa economica.
Lui, l'ultimo comizio lo ha fatto appunto da Bruxelles, dove ha partecipato al Consiglio europeo. Qui è amato perchè senza alzare la cresta ha rispettato le regole. Un perfetto uomo macchina che fa quello che si deve fare. Ma basterà?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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