I servizi segreti francesi conoscevano bene i fratelli Jihad. Il minore dei due ricercati, Cherif Kouachi, era finito in galera con i suoi amici della guerra santa in Irak. L'antiterrorismo lo ha sorvegliato, fotografato e intercettato al telefono almeno fino al 2010. Per non parlare dei contatti con pezzi grossi del terrorismo internazionale sul suolo francese. Le stranezze di questa storia saltano agli occhi a cominciare dalla domanda più inquietante: come è possibile che i fratelli Jihad, se sono veramente loro i colpevoli, abbiano potuto seminare il terrore nel centro di Parigi nonostante fossero ben noti all'antiterrorismo?
Il premier francese, Manuel Valls, ha ammesso in maniera disarmante che i sospetti «erano indubbiamente seguiti, ma questo genere di cose non sono a rischio zero». Il pedigree dei due orfani di origini algerine non lascia dubbi. Soprattutto quello più grande, Cherif, 32 anni, che si fa chiamare Abou Issen era già rimasto incastrato nel giro di reclutamento di kamikaze per l'Irak fra il 2004 ed il 2006. Il cattivo maestro, Djamel Beghal, autoproclamato imam di una moschea parigina lo aveva trasformato da piccolo delinquente ad una recluta della guerra santa. Nel 2008 Cherif era stato condannato a tre anni di carcere con la condizionale. Nella prigione di Fresnes ha completato il percorso radicale.
La falla dei servizi di sicurezza francesi assume aspetti grotteschi con le foto della sorveglianza di Cherif nel 2010, che stanno saltando fuori. Assieme ad altri jihadisti era sospettato di voler far evadere Ali Belkacem, un jihadista di spicco dietro le sbarre in Francia. L'antiterrorismo gli aveva addirittura intercettato le telefonate. E nello stesso periodo cominciava a entrare nel copioso dossier sul suo conto anche il fratello minore Said, che avrebbe partecipato alla strage dell'Hebdo. «Sembra un nuovo caso Merah, il terrorista che pensavano di controllare ed invece ha fregato i servizi d'Oltralpe» spiega un addetto ai lavori italiano. Mohammed Merah, nel 2012, ha terrorizzato la zona di Tolosa. L'intelligente lo considerava un informatore e non è riuscito a fermarlo in tempo.
La storia della carta d'identità «dimenticata» sull'automobile della fuga da uno dei terroristi suona come un «escamotage» per i media. Altrimenti sarebbe stato impossibile spiegare come si è arrivati in poche ore a identificare i sospetti assassini. In realtà l'antiterrorismo conosceva bene i fratelli Jihad. Non è escluso che dopo l'attacco all'Hebdo sia bastato mettere insieme le informazioni già in possesso per puntare su di loro.
«Ammesso e non concesso che siano i responsabili l'attenzione investigativa su questi due soggetti è stata pessima. Li hanno sottovalutati» spiega la fonte del Giornale . E nonostante alcuni errori «non c'è dubbio che avessero una rete di appoggio, che li ha aiutati nella fuga». Una rete tutta da scoprire.
Adesso l'incognita è se ci sarà un secondo atto, clamoroso come il primo.
Dei professionisti avrebbero dovuto dividersi e lasciare il prima possibile il paese. In alternativa un finale da kamikaze farebbe comodo a tutti: ai loro mentori della guerra santa e all'antiterrorismo che deve spiegare come i fratelli sono sfuggiti al controllo.
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