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Spari e sangue, Hong Kong sul baratro

La polizia colpisce un manifestante e la folla dà fuoco a un uomo: entrambi gravi

Spari e sangue, Hong Kong sul baratro

«Nemici del popolo». La virata pretesa da Carrie Lam dai suoi padroni di Pechino per lasciarla al suo posto è arrivata. La governatrice di Hong Kong ha usato un tipico frasario maoista per definire i manifestanti contro i quali ieri la polizia che da lei prende ordini ha usato una violenza quasi senza precedenti, sparando a distanza ravvicinata contro giovani disarmati. A quale popolo si riferisse, poi, è fin troppo chiaro: quella parte minoritaria dei residenti di Hong Kong che sono schierati con la «madrepatria cinese», e che condividono la politica repressiva attuata dal partito comunista: gli altri non sono «popolo», sono solo ribelli che devono essere ricondotti all'inoffensività, non importa come.

I fatti. Quella di ieri è stata una delle giornate più caotiche e violente da quando, cinque mesi fa, sono cominciate le manifestazioni per la difesa della democrazia a Hong Kong. I dimostranti avevano annunciato una giornata di sciopero, con l'obiettivo di paralizzare ogni attività nella ex colonia britannica diventata, dopo il ritiro di Londra nel 1997, regione speciale autonoma sotto la sovranità della Cina comunista. Il clima era già abbastanza teso quando si è diffusa la notizia, confermata da un impressionante video che ha fatto il giro del mondo, del grave ferimento di un giovane manifestante da parte di un poliziotto, che ha risposto a un tentativo di aggressione senza armi sparando a bruciapelo al corpo del ventunenne, che è stato ricoverato all'ospedale con gravi ferite al fegato e a un rene: è in condizioni critiche dopo un disperato intervento chirurgico. A quel punto la situazione è degenerata. La polizia ha indurito il suo atteggiamento, e un agente si è perfino lanciato con la sua motocicletta sulla folla provocando numerosi feriti. Si sono accese battaglie urbane, con lanci di molotov da parte dei manifestanti a cui i poliziotti hanno risposto con salve di lacrimogeni e di spray urticante a base di pepe. Al culmine di queste violenze, è stato compiuto un gesto che dà la misura di quanto anche tra i democratici abbia preso ormai piede la cultura della brutalità: alcuni manifestanti hanno aggredito un uomo che gridava slogan favorevoli a Pechino gettandogli addosso del liquido infiammabile e dandogli fuoco. La vittima di questa aggressione è finita anch'essa all'ospedale in gravi condizioni.

La governatrice Lam ha avuto parole di durissima condanna per questo «gesto inumano che nessuno deve perdonare», e ha aggiunto che «le violenze hanno di gran lunga superato le richieste di democrazia e i manifestanti sono ora nemici del popolo». Nessuna condanna per il poliziotto che ha sparato nella pancia a un ragazzo di 21 anni, in quanto l'uomo in divisa «non aveva cattive intenzioni e temeva che gli si volesse sottrarre la pistola». Nessuno si illuda, ha concluso Carrie Lam, che usando la violenza si otterrà alcuno dei risultati che i manifestanti si prefiggono. E al giovane leader della protesta Joshua Wong, che gridava al tentato omicidio nei confronti di un manifestante e citava il suo «cuore spezzato nel veder trasformare Hong Kong in uno Stato di polizia», ha risposto in toni minacciosi il tabloid cinese «Global Times», che ha paragonato i manifestanti all'Isis esprimendo sostegno agli agenti della ex colonia inglese: «Avete dalla vostra parte anche la Polizia Armata del Popolo e le nostre truppe presenti a Hong Kong». Se necessario, ha ricordato il giornale di Pechino, l'esercito cinese ha il diritto di entrare a Hong Kong per ristabilire l'ordine.

È l'ennesima volta che viene agitato lo spettro di Tienanmen, ma sarebbe molto imprudente sottovalutare una simile minaccia ora che parte dei dimostranti offrono, scegliendo la violenza, un pretesto ai loro nemici.

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