La speranza si chiama Giulia. Nata la figlia del paziente uno

La moglie di Mattia, Valentina, ha dato alla luce la loro bimba all'ospedale Sacco di Milano. Una vittoria sul virus

La speranza si chiama Giulia. Nata la figlia del paziente uno

La speranza si chiama Giulia. È nata ieri all'ospedale Sacco di Milano, la voce è corsa di balcone in balcone fino a raggiungere ogni casa nella ex zona rossa di Codogno. È la figlia di Mattia, il «paziente uno» dell'epidemia di coronavirus in Italia, l'uomo di 38 anni che con il suo ricovero la notte del 20 febbraio nell'ospedale della sua cittadina in provincia di Lodi, ha precipitato l'Italia nell'occhio del ciclone. Dopo un mese di lotta nel reparto di terapia intensiva del Policlinico San Matteo di Pavia, il 38enne è tornato a respirare autonomamente, ha sconfitto il virus e ha fatto rientro a casa. Anche sua moglie Valentina, incinta di otto mesi, aveva contratto il Covid-19 e per fortuna dopo una manciata di giorni dal ricovero era stata dichiarata clinicamente guarita, nessun problema per la piccola che portava in grembo.

Il 22 marzo, solo due settimane fa, al momento delle dimissioni da Pavia, Mattia aveva espresso un unico desiderio: «Potere assistere alla nascita di mia figlia. I dottori mi assicurano che ce la farò». E ce l'ha fatta. Il sorriso della piccola Giulia è il segno della (ri)nascita di un piccolo paese, tragicamente importante per l'evoluzione della pandemia in Italia, e di tutta la nazione. Proprio nelle ore in cui finalmente i dati quotidiani sui contagi e sui decessi sembrano lasciar intravedere la fase declinante della curva epidemica.

Ci si attacca ai modelli matematici, alle progressioni scientifiche e agli studi clinici. Ma non c'è nulla come un fiocco, rosa, con un orsetto ricamato, per tornare a guardare con ottimismo alle prossime settimane che - inutile negarlo - saranno ancora contrassegnate da sofferenze e privazioni.

Le ultime di parole di Mattia sono ancora quelle di quel 22 marzo. «È difficile dopo questa esperienza fare un racconto di quello che mi è successo - aveva confidato il «paziente uno», l'uomo che proprio mentre tornava a respirare autonomamente era stato toccato dalla morte del padre, a sua volta contagiato - Mi ricordo il ricovero a Codogno, poi mi hanno raccontato che per 18 giorni sono stato in terapia intensiva. Dopo essere stato trasferito nel reparto di malattie infettive, ho cominciato ad avere un contatto con il mondo reale e a fare la cosa più semplice e bella: respirare».

Quindi l'appello a tutti: «Da questa esperienza ho imparato che è fondamentale stare in casa. Io sono stato fortunato ma ora potrebbero non esserci i mezzi, medici e materiali per guarire tutti.

Chiedo a tutti i media di rispettare la privacy mia e della mia famiglia perché vorremmo proprio dimenticare questa brutta esperienza e tornare alla nostra normalità». Lasciamo a Mattia e Valentina la loro nuova normalità, impreziosita dalla piccola Giulia. La speranza, quella, è per tutti.

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