Il progetto è ambizioso: «Vogliamo creare un polo della miglior tradizione dolciaria italiana». E allora Piergiorgio Burei rilancia: «Sperlari vuole comprare Pernigotti. Lo ripeto ufficialmente dopo le voci circolate nelle scorse settimane: ci interessa il marchio, ma ci interessa anche lo stabilimento di Novi Ligure con i suoi lavoratori». Cioccolato & torrone. L'amministratore delegato della gloriosa casa cremonese tesse instancabile la sua tela.
«Sperlari ha quattro stabilimenti: a Cremona, naturalmente, in Val Chiavenna, nel Bolognese e in Abruzzo. Ci piacerebbe avere anche il quinto nel nostro portafoglio. Penso che Sperlari e Pernigotti possano essere due brand complementari. E sommarli sarebbe molto di più di una semplice operazione di aritmetica societaria. No, significherebbe catturare e offrire al mercato suggestioni e sensazioni che appartengono al patrimonio tricolore e che il mondo ci invidia».
Si, ma Pernigotti non è in crisi?
«Io credo che abbia potenzialità straordinarie. Come tutti i nostri marchi: non solo Sperlari, ma anche Dietorelle, Galatine, Saila che è leader nella liquirizia».
Sia sincero, non è un'operazione di shopping come tante altre?
«Vorrei essere chiaro: la nuova proprietà tedesca, appena arrivata l'anno scorso, ha ridato alla Sperlari il suo nome Sperlari, ha chiamato un amministratore delegato italianissimo come il sottoscritto, ha svincolato l'azienda dalle logiche delle multinazionali».
Tradotto?
«La casa madre, il gruppo Katjes, voleva e vuole rilanciare Sperlari. Le caramelle, segmento in cui siamo il secondo player nazionale. I torroni. E la mostarda che pure è un prodotto di nicchia. Quest'anno il fatturato è finalmente in crescita. Ma non è l'unica novità».
C'è stato il ritorno in televisione.
«Esatto. L'azienda è nata nel 1836, ma avere quasi due secoli di storia non può essere una giustificazione per sedersi sugli allori. Cosi attraverso le principali reti televisive ci siamo presentati a casa dei nostri connazionali per ricordare loro chi siamo. Contemporaneamente stiamo ragionando per andare alla conquista dei più importanti mercati stranieri dove vendiamo meno, molto meno di quel che vorremmo».
Arriviamo cosi alla Pernigotti.
«Se si farà, sarà un'operazione italiana al 100 per cento. Condotta da Cremona e non dalla Germania, con prodotti che nascono in Italia e rappresentano il meglio della nostra storia. Io penso che nel Paese ci sia la sensibilità giusta per prestare attenzione a quei marchi storici come il nostro che si vogliono rinnovare nel segno della tradizione e, insomma, sono pronti per vivere una seconda giovinezza».
A che punto sono le trattative con i turchi di Toksoz che controllano Pernigotti?
«Non posso entrare nei dettagli, ma ci credo».
Loro, almeno in prima battuta, avevano
dichiarato di voler chiudere il sito produttivo di Novi, poi pare ci abbiano ripensato.«Noi vogliamo salvare l'azienda. Anzi, la fabbrica sarebbe il cuore della rinascita di un pezzo pregiato del nostro sistema imprenditoriale».
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