Lo spettacolo politicamente scorretto di Trump

Sfidando tutti i luoghi comuni l'eccentrico industriale "stravince" il confronto tra candidati repubblicani. Ma favorito resta Jeb Bush

Lo spettacolo politicamente scorretto di Trump

«Lei è abituato a comprare e vendere politici», lo accusa stizzito il candidato Rand Paul. E Donald Trump risponde: «A te, ti ho comprato di sicuro. E anche con un sacco di soldi». Quello della scorsa notte a Cleveland, Ohio, nella sede della rete televisiva Fox News è stato uno dei più grandi spettacoli pubblici offerti dalla politica americana. Regole di ferro e niente sconti. Fox News è nota come televisione di destra, se non una sezione del partito repubblicano. Ma nella notte fra giovedì e venerdì quella televisione si è guadagnata i galloni di una macchina giornalistica micidiale e rispettosa delle regole dell'informazione. Il New York Times , di orientamento democratico, ha coperto di lodi la televisione repubblicana che si era posto il compito durissimo di contenere l'antieroe della serata, lo stramiliardario Donald Trump, un incontenibile ribelle con un passato democratico (ha finanziato Hillary Clinton a piene mani prima di mandare all'inferno Obama e il suo partito) e che ha deciso di farsi largo nel Grand Old Party , attaccando tutti gli esponenti repubblicani. Ha cominciato con l'ex candidato John McCain, considerato un eroe perché fu abbattuto sui cieli del Vietnam e soffrì una lunga e dolorosa prigionia: «E che razza di eroe sarebbe, uno che si è arreso? Io considero eroi quelli che non si arrendono, non quelli che alzano le mani». Un putiferio durato mesi.

Trump dominava il palcoscenico e sfidava la political correctness , il codice di quel che può e di quel che non può essere detto. I candidati avevano di fronte a sé un piccolo plotone d'esecuzione: quello dei tre moderatori Chris Wallace, Megyn Kelly e Bret Baier. Megyn Kelly è una bionda che potrebbe impersonare il comandante di una flotta spaziale, bella e impenetrabile. Megyn attacca: «Lei parla delle donne in modo inaccettabile. Le paragona spesso ad animali disgustosi, le descrive grasse come maiali, sgraziate come vacche... Come pensa di poter chiedere il loro voto per diventare presidente degli Stati Uniti?».

Trump alza le spalle: «Senta, io ne ho piene le scatole della political correctness , si tratta soltanto di ipocrisia. E sa che le dico? Anche il nostro Paese ne ha abbastanza di questi minuetti su quel che si può dire e quel che non si può. Io e gli Stati Uniti non ne possiamo più. Qui fuori c'è un mondo in cui si tagliano le teste dei cristiani, si commettono crimini mai visti prima d'ora e noi ce ne stiamo qui a cincischiare sull'uso delle parole. Io dico che noi dobbiamo uscire e andare a fare il nostro lavoro nel mondo qui fuori».

Donald Trump è stato certamente lo special guest della serata e del resto tutta la sua forza politica consiste in questo: prendere a pugni tutti gli altri, non fare alleanze, impersonare il cavaliere solitario che ha spalle larghe e pugno duro.

Ma il vero candidato repubblicano - finora - non è l'imprenditore sfrontato e senza peli sulla lingua, ma Jeb Bush, ex governatore della Florida, fratello dell'ex presidente George W. e figlio del vecchio George. Jeb si è costruito una fama di moderato. Ha governato la Florida puntando sulla pubblica istruzione, una spesa sociale importante e ha ottenuto come risultato una rivoluzione dello «Stato del Sole», famoso fino a pochi anni fa soltanto per le sue spiagge e i suoi ricchi pensionati che giocano a golf in attesa della morte. Con Bush la Florida si è trasformata nella mecca delle giovani coppie, specialmente intellettuali, scienziati e insegnanti, attratti da una eccellente rete di scuole e università pubbliche e college, ammortamento molto invitante per l'acquisto di case e di piani di per per i figli. Hanno cercato di incastrarlo chiedendogli cosa pensava dell'intervento in Irak deciso dal fratello ed ha risposto che se avesse avuto le stesse informazioni che aveva avuto George, avrebbe fatto le stesse scelte.

Nessuna sorpresa dunque se Hillary Rodham Clinton, scesa in campo anche lei, abbia ignorato Trump e attaccato direttamente Jeb Bush, che considera il suo avversario. In realtà né Hillary, né Donald sono stati ancora nominati dai loro partiti e la strada è ancora lunga per entrambi. Anche per Hillary Clinton i giochi sono tutt'altro che fatti: la sua candidatura è considerata debole all'interno del partito democratico e sono molti coloro che la considerano mortale perché priva di carisma, di una «vision», schiacciata com'è fra gli stereotipi della correttezza politica.

Di questa debolezza pensa di approfittare Joe Biden, il vicepresidente di Obama, un avvocato di 73 anni in eccellente forma fisica e che si è visto raramente sulla scena politica, benché abiti alla Casa Bianca. Biden ha perso recentemente un figlio, Beau, e tutto il Paese ha potuto ammirare sia la compostezza che il dolore di quest'uomo. Ora Biden dice che è stato proprio il figlio in punto di morte a fargli giurare che non avrebbe mollato, che avrebbe dato seguito alle aspettative di tutti coloro che credono in lui.

Biden non ha ancora sciolto la riserva, ma lascia che si dica in giro che è pronto a correre. Lo sostengono coloro che odiano i Clinton, la loro potenza politica ed economica, la loro immagine di mostri sacri e politicamente correttissimi.

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