
C'è una categoria che in questi giorni sta seguendo con una attenzione particolare le notizie che dalle Procure arrivano sull'apertura di inchieste legate all'espansione del Coronavirus. Ed è quella dei funzionari pubblici che a vari livelli e in vari settori - dai dirigenti delle Ats ai capi ripartizione dei ministeri, dagli alti gradi della Protezione civile su fino al livello politico nazionale e locale - saranno chiamati nelle prossime settimane a prendere decisioni cruciali. Sono gli uomini che dovranno conciliare la lotta per contenere l'epidemia con le esigenze del Paese e dei suoi cittadini di ripartire, di tornare a produrre reddito.
Non saranno scelte facili. Non lo sarebbero state comunque. Ma rischiano di essere pesantemente condizionate dallo spettro giudiziario che le indagini stanno allungando su chi dovrà compierle. E che non ha nessuna voglia di ritrovarsi, a emergenza sanitaria finita, con avvisi di garanzia per reati pesanti; di finire nel tunnel di processi destinati a durare anni.
A destare un allarme particolare è stata la decisione della Procura di Milano di contestare in relazione ai decessi in alcune case di riposo non solo il reato di omicidio colposo ma anche di epidemia colposa. È un reato grave, punito dall'articolo 352 del codice con il carcere fino a dodici anni. Ma è soprattutto un reato dai confini talmente vasti da poter essere contestato praticamente a chiunque abbia un ruolo nella catena di comando.
Le indagini sono per ora aperte solo sulla carta, perché non ci sono né gli uomini né i mezzi per analizzare quanto sta effettivamente accadendo sul fronte del Covid 19. Nel concreto, le inchieste partiranno solo a emergenza allentata se non conclusa, e sconteranno le conseguenze di questo ritardo inevitabile: basti pensare alla difficoltà di certificare uno per uno i decessi dovuti solo o prevalentemente al virus, visto che in questi giorni i corpi dei defunti vengono inceneriti (liste di attesa permettendo) senza essere stati sottoposti ad alcuna autopsia. Al più c'è una indicazione sulla cartella clinica, destinata inevitabilmente a essere contestata dai difensori.
Proprio questa vaghezza delle accuse aumenta le preoccupazioni degli uomini chiamati a decidere. Col pericolo che si inneschi un meccanismo non dissimile dalla cosiddetta «medicina difensiva», messa in atto dai sanitari che per evitare guai giudiziari sommergono i pazienti di qualunque tipo di esami.
Allo stesso modo lo spettro di incriminazioni future potrebbe spingere sempre più in là la data delle riaperture.
Chi si prenderebbe la responsabilità di far ripartire scuole, parchi, uffici sapendo che anche un solo nuovo contagio potrebbe portarlo sotto processo? Così nei giorni scorsi era stata guardata con interesse la proposta di uno scudo penale che mettesse al riparo, con l'eccezione ovviamente dei comportamenti dolosi, le scelte compiute in buona fede. Ma di scudo penale non si parla più.
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