Laura Cesaretti
Roma «La manovra non è un pacchetto chiuso», dice Matteo Salvini. La frasetta, una sorta di parentesi tra un'intemerata e l'altra contro i «burocrati» dell'Europa e in difesa della «manovra del popolo» e dei suoi «caposaldi», non è però sfuggita per caso al vicepremier leghista.
Ed è il primo, quasi impercettibile segnale che anche in casa leghista si è compreso che a tirar troppo la corda l'Italia gialloverde rischia di finire a gambe all'aria. E quindi, come a porte chiuse ripetono il sottosegretario Giorgetti e persino il ministro Savona, qualche cambiamento bisognerà farlo. E una qualche marcia indietro andrà innestata per evitare il «disastro».
Certo, Salvini mostra il viso dell'arme, e dice: «Chiedo rispetto per gli italiani», tuona: «Non arretro», nega recisamente che si stia già pensando a modifiche sostanziose. «Nessun maxi emendamento sulla manovra», garantisce, «i rumors li lasciamo sullo sfondo. Sanzioni e ricatti non servono né agli italiani né all'Unione Europea». Poi però aggiunge: «Noi andiamo a Bruxelles con buon senso, ragionevolezza e disponibilità ad ascoltare. Tutto è migliorabile. La manovra non è un pacchetto chiuso, ma non ci possono chiedere di mettere le mani nelle tasche degli italiani e togliere soldi e per quanto mi riguarda non farò passi indietro sulla legge Fornero. I punti fondamentali non si toccano». È l'ultima trincea d'immagine, la difesa delle bandiere sue e di Gigino Di Maio. Che però sventolano sempre meno festosamente.
Il vicepremier grillino, dal canto suo, tenta l'ennesima manovra diversiva prendendosela con la Banca d'Italia. La colpa della rovinosa impennata dello spread non è del governo e della sua dissennata politica economica, assicura, ma di via Nazionale che la critica e lancia l'allarme: «Ieri lo spread stava scendendo, e dopo il suo intervento è risalito», analizza il neo-economista di Pomigliano. Che poi passa a spiegare a Visco il suo mestiere: «Bankitalia può dire quello che vuole, ma per noi il rischio che lo spread rimanga così per anni non c'è, è una previsione sbagliata. Appena la manovra del popolo sarà approvata i mercati scenderanno», promette, qualsiasi cosa ciò voglia dire.
Di Maio smentisce anche le voci di dimissioni di un Savona ormai convertito alla critica feroce sulla linea economica del governo: niente di tutto ciò, giura, il ministro Savona ha sempre difeso di più nelle nostre riunioni private la manovra e l'atteggiamento con la Ue, lui è fondamentale per il governo». Nel frattempo, però, i contorni delle misure simbolo cambiano. Sul reddito di cittadinanza i grillini, col capogruppo Patuanelli, aprono alla impostazione del leghista Siri: devolvere quel «reddito» non ai cittadini ma alle imprese, «per favorire l'occupazione». Ossia, in pratica, reintrodurre gli incentivi del tanto vituperato Jobs Act di renziana memoria, anche per arginare il precipitoso calo degli occupati in seguito al decreto «Dignità».
Quanto alle pensioni, la quota cento «non si tocca», ripetono nel Carroccio. Ma in privato si spiega che difficilmente verrà utilizzata interamente, perché - viste le penalizzazioni - la platea sarà probabilmente molto più ristretta di quella annunciata.
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