Il colpo di scena arriva logico e inatteso. Di buon mattino i vigili entrano nella proprietà dei Di Maio. In quei terreni di cui ormai tutta Italia parla da giorni. Obiettivo del blitz dovrebbero essere i fabbricati che si sospetta abusivi. Ma le guardie municipali impegnate nell'azione, tre sulle quattro di cui dispone il Comune, notano altro: mattoni accatastati, tubi rotti e arrugginiti appoggiati qua e là, secchi, scarti dell'edilizia. Insomma, quegli spazi sono, o dovrebbero essere, il deposito a cielo aperto dell'azienda di famiglia. Esattamente quel che il Giornale ha scritto in lungo e in largo da quando si sono accesi i riflettori, fra smentite e precisazioni fumose.
Lo spartito cambia: si procede al sequestro delle aree interessate e si mette in moto un procedimento penale. Il reato ipotizzato e' abbandono di rifiuti speciali, un illecito contravvenzionale, non doloso. Insomma, almeno sulla carta poca cosa.
Però si apre un nuovo filone, l'ennesimo in una vicenda di matrioske senza fine che sta sfregiando l'immagine immacolata del vicepremier.
Guai senza fine e ora un altro capitolo scivolosissimo, a cavallo fra la grande politica romana e la piccola cronaca giudiziaria. Gli uomini in divisa mettono i sigilli davanti ai due delegati della famiglia. Già oggi le carte dovrebbero partire per la Procura di Nola, nuovo terminal di questa storia. E il copione sembra già scritto: Antonio Di Maio e la sorella Giovanna, zia del ministro del Lavoro, dovrebbero essere iscritti nel registro degli indagati, come proprietari di questo sfortunato appezzamento.
Tutto può essere: il pm potrebbe pure ritenere infondata la notizia di reato e orientarsi verso l'archiviazione, ma questa è una materia spigolosa, dove si viaggia con i piedi di piombo.
Più probabile, se non scontato, che il pm cominci a lavorare sul fascicolo, chiedendo contestualmente la convalida del sequestro al gip.
In teoria il pm potrebbe anche inquadrare nel suo mirino i titolari dell'azienda di famiglia, l'Ardima, ovvero Luigi DI Maio e la sorella Rosalba, ma almeno al momento questa è un'ipotesi molto debole. Il vicepremier, ospite del salotto televisivo di Giovanni Floris, aveva spiegato che l'Ardima non ha più appalti e va verso la chiusura. Può essere e però anche qua qualcosa non quadra: almeno tre persone hanno raccontato al Giornale di aver visto in giro il furgoncino della piccola società fino alla scorsa settimana. E di aver osservato la solita trafila di sempre fino a venerdi: alla sera gli operai raggiungevano quel terreno di famiglia, a due passi da Corso Umberto, scaricavano gli attrezzi e parcheggiavano il camioncino per riprenderlo l'indomani mattina. La normale routine di un'impresa artigianale, travolta ora da una tempesta senza fine.
Si saprà forse a breve se il materiale ammonticchiato qua e là è un cimelio da museo o era collegato a qualche costruzione in corso. «Io sono tranquillo - ha affermato da Bruxelles il leader dei 5 Stelle - parliamo di calcinacci, secchi, plexiglas». Tutto vero e però ogni precisazione in questa storia sembra alimentare nuovi dubbi e altre scoperte.
Cosi da quei terreni partono ora almeno quattro piste: il reato ambientale, gli abusi edilizi, gli operai forse in nero e l'ipoteca targata Equitalia per 176 mila euro. È questa la pagina più misteriosa, un rebus, sempre in attesa di una spiegazione che non c'è.
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