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Lo Stato che ci perseguita non incassa i debiti dei Renzi

Per i cittadini basta poco per trovarsi davanti Equitalia che chiede conto dell'omissione, pena il blocco dell'auto. Ma per la famiglia Renzi i creditori non si sono nemmeno presentati

Lo Stato che ci perseguita  non incassa i debiti dei Renzi

Multe non pagate? Errorino nella dichiarazione dei redditi? Sollecitamente Equitalia o qualche altro concessionario della riscossione, per conto dello Stato, verrà a chiedervi conto della vostra omissione sollecitandovi ad adempiere all'obbligo pena, come minimo, il blocco della vostra auto. Siete un componente della famiglia Renzi e una vostra ex società deve alla collettività 263mila euro? Passa tutto in cavalleria.

È il caso del fallimento di Chil srl (poi denominata Chil Post srl) che faceva capo a Tiziano Renzi, papà del premier, e che poi fu ceduta a Gian Franco Massone. La Regione Toscana, tramite Fidi Toscana, aveva garantito il mutuo da circa 700mila euro concesso dalla Bcc di Pontassieve. Chiusi i battenti, la banca ha recuperato 263mila euro dal garante che si è fatto rimborsare 236mila euro dal Fondo centrale di garanzia del ministero dello Sviluppo economico. La Regione Toscana ha deciso di insinuarsi al passivo di Chil per recuperare i 35mila euro (sanzioni incluse) che il ministero non ha coperto. La stessa cosa poteva fare il ministero dello Sviluppo, titolare delle risorse per aiutare le imprese, o il ministero dell'Economia cui ormai fa capo ogni movimento di cassa dello Stato. E se non l'avessero fatto i due dicasteri, l'avrebbe potuto fare Banca del Mezzogiorno - Mcc, l'istituto del gruppo Poste Italiane che gestisce il Fondo di garanzia.

Niente di tutto questo. «Ad oggi non ho ricevuto insinuazioni al passivo dai soggetti indicati», cioè Banca del Mezzogiorno o il Fondo, ci risponde via mail Maurizio Civardi, curatore fallimentare di Chil. C'è ancora tempo? «Il termine è scaduto il 29 maggio 2014, salvo che il creditore dimostri che il ritardo è dipeso da una causa a lui non imputabile», replica Civardi spiegando che, in questo caso, c'è tempo fino alla chiusura della procedura fallimentare. L'insinuazione della Regione Toscana è molto probabilmente avvenuta con questo escamotage, previsto dall'ultima riforma del diritto fallimentare. A Firenze, infatti, si è saputo del cambio di proprietà di Chil, avvenuto nel 2010, solo tre anni dopo, quando la società era già fallita.

In teoria, quindi, sia lo Sviluppo economico che l'Economia (tramite Poste, controllata al 100%) possono vantare i loro diritti. Anche se dovranno dimostrare perché si siano ridotti all'ultimo minuto. In attesa di nuovi sviluppi da parte del Fondo e del suo gestore, si può presumere che, dal punto di vista politico, non sia proprio «carino» che un ministro o chi per lui si costituisca nella procedura fallimentare di una società che nel passato era appartenuta al padre del presidente del Consiglio. In buona sostanza, un conflitto di interessi.

Eppure è da oltre due anni che la Procura di Genova ha avviato le indagini su Chil e Chil Post e il governo, tramite i riscontri investigativi della Guardia di Finanza, poteva disporre delle informazioni necessarie. Ad esempio, poteva sapere che la parte in bonis di Chil, poi denominata Eventi 6, era stata ceduta da Tiziano Renzi alla consorte Laura Bovoli per circa 3.800 euro proprio nel 2010, mentre la periclitante Chil Post era stata venduta a Gian Franco Massone a zero euro. Praticamente una donazione.

Sempre nelle informative della Finanza alla Procura emerge che Fidi aveva cercato di sospendere la liquidazione del rimborso alla Bcc di Pontassieve perché all'oscuro del passaggio di proprietà e del trasferimento di sede sociale a Genova, quindi fuori dai confini della Toscana, entro i quali la garanzia originaria era valida.

Via XX Settembre e via Veneto, quindi, avevano gli strumenti per pretendere il dovuto.

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