Guerra in Israele

Stato palestinese, Bibi chiude ancora. E "limita" gli arabi

Accesso ridotto alla Spianata delle moschee per il Ramadan. Gantz, ultimatum sugli ostaggi

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Altro che spiragli di pace, possibile tregua e ipotesi di un Medioriente pacificato nell'immediato futuro. Più passa il tempo e più sembra aumentare il caos in quel doppio binario su cui scorre il conflitto tra Israele e Hamas. Da una parte la battaglia sul campo con la sempre più imminente offensiva su Rafah e dall'altra le manovre politiche con quasi tutto l'Occidente che spinge per una soluzione e Israele che continua a non volerci sentire, specie su alcuni punti che ritiene imprescindibili.

Al punto che il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha chiesto esplicitamente al governo di respingere «ogni tentativo di imporre ad Israele in maniera unilaterale uno Stato palestinese». Netanyauh ha sottoposto ai ministri una dichiarazione definisce «diktat internazionale» l'ipotesi: «Un riconoscimento unilaterale dello Stato palestinese, dopo il massacro del 7 ottobre, elargirebbe un premio enorme al terrorismo ed impedirebbe qualsiasi accordo di pace in futuro», ha scritto. Mentre il ministro del Gabinetto di guerra Gantz avvisa: «Se gli ostaggi tenuti a Gaza non verranno liberati entro i Ramadan (10 marzo, ndr), Israele amplierà la sua offensiva. È un prezzo troppo alto? Hamas può arrendersi», ha detto. E a proposito di Ramadan, Bibi ha accolto la richiesta dell'ala più dura del governo (Ben Gvir in testa) per limitare l'ingresso degli arabo-israeliani alla Spianata delle moschee a Gerusalemme, nonostnate il parere contrario dello Shin Bet. Prese di posizione nette, che rischiano di far saltare il banco e di isolare ancor di più Israele, vista la progressiva presa di distanze di alleati storici, Stati Uniti in primis.

Stati Uniti sempre attivissimi all'Onu. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe votare la prossima settimana, su richiesta dell'Algeria, un nuovo testo che chiede un «immediato cessate il fuoco umanitario» a Gaza, senza trovare però l'appoggio americano, spiega l'ambasciatrice Usa Linda Thomas-Greenfield. «Gli Usa lavorano a un obiettivo: una risoluzione sostenibile del conflitto di Gaza in modo che israeliani e palestinesi possano vivere fianco a fianco e godere di pari misure di sicurezza, dignità e libertà», aggiunge. Ma dalla conferenza di Monaco, arrivano segnali di pessimismo. «L'andamento degli ultimi giorni non è stato molto promettente», ha ammesso un rappresentante della delegazione del Qatar, in prima fila nelle trattative. Mentre cresce il fronte di chi attacca la condotta di Tel Aviv. Il presidente francese Emmanuel Macron insieme a quello egiziano al-Sisi hanno parlato di «ferma opposizione» all'offensiva di Rafah e «a qualsiasi spostamento forzato della popolazione in violazione del diritto internazionale umanitario». Mentre il presidente brasiliano Lula è ancora più duro: «Quel che accade nella Striscia di Gaza non è una guerra, è un genocidio». Netanyahu di contro replica con forza, dicendo che Lula «ha usato parole vergognose, ha superato la linea rossa», e tira dritto. L'esercito israeliano continua a martellare Khan Yunis, via di accesso a Rafah, con operazioni che continuano anche all'ospedale Nasser, che secondo l'Oms è ormai non più in funzione. La mezzaluna rossa denuncia che «la situazione a Rafah è ingestibile» già adesso e se Israele attaccherà non potrà che aumentare la catastrofe umanitaria.

Intanto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, spiega che l'offensiva procvede bene, tanto che Hamas sta cercando un sostituto per il suo leader nella Striscia di Gaza, Yahya Sinwar. E dopo le accuse e i tentativi di smentita riguardo il coinvolgimento diretto di alcuni membri dell'Unrwa agli attacchi del 7 ottobre, ha rivelato l'identità di 12 operatori colpevoli del blitz. «Tra di loro, ci sono insegnanti che lavorano nelle scuole dell'agenzia Onu della Striscia e abbiamo indicazioni dall'intelligence, secondo cui oltre 30 operatori hanno partecipato al massacro, facilitato la presa di ostaggi, saccheggiato e rubato nelle comunità israeliane e altro ancora».

Un altro caso aperto che allontana ulteriormente ogni possibile dialogo.

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