di Con soddisfazione di una buona parte del Parlamento è stata presentata alla Camera una proposta di legge per la legalizzazione della cannabis. Non si tratta soltanto dell'utilizzo legittimo della sostanza a scopo terapeutico ma della possibilità di coltivarla e possederla per le sue capacità psicoattive e cioè per la ricerca delle sensazioni che questa droga provoca in chi la consuma: un effetto sedativo e rilassante per cui gli stimoli ambientali sono attutiti, un'euforia mista ad eccitazione per cui anche quello che non è comico provoca a tratti ingiustificata gioia e ilarità. Una condizione irreale che non permette quelle funzionalità cognitive indispensabili a qualsiasi attività che necessiti di concentrazione e apprendimento come lo studio o la professionalità. Gli effetti negativi della cannabis sono contestati dagli antiproibizionisti che invece esaltano le sue potenzialità curative. Ma se è vero che da un lato alcune ricerche mettono in evidenza probabili effetti positivi per certe malattie, dall'altra nessuno userebbe un farmaco con spiccata attività sul cervello se non ne avesse bisogno e sopportandone gli effetti collaterali. Quello che sembra sfuggire, al di là del dibattito sulle conseguenze per la salute fisica e mentale che per alcuni sussistono e per altri no, è che la cannabis provoca dipendenza. Il consumatore è portato a un comportamento ripetitivo e incontrollabile con un desiderio che richiede di essere saziato subito ma che non conosce mai sazietà. Ogni dipendenza toglie la libertà perché si rimane vittime di una sostanza di cui poi è molto difficile fare a meno nonostante l'incompatibilità con una vita impegnata nei propri progetti di vita. Così subentra l'ansia e il senso di inadeguatezza negli adolescenti che ne fanno uso. La dipendenza inizia ad essere percepita come una debolezza non soltanto perché diventa impossibile astenersi dall'utilizzarla ma perché impedisce la crescita personale. Gli antiproibizionisti rilevano come il divieto non abbia impedito l'uso costante di droga nei giovani nel passato e nel presente. Renderla legale porterebbe ad una riduzione del danno perché lo Stato ne controllerebbe la qualità. Eppure anche nei paesi dove la cannabis è legale permane il mercato nero in cui la droga costa meno e a cui i giovani in particolare continuano a riferirsi. Alla posizione proibizionista e antiproibizionista si lega soltanto un diverso significato simbolico perché in pratica il consumo non verrà debellato. Si finge di voler regolamentare ciò che regolamentabile non è. Chi usa droga nei Cannabis Social Club dovrebbe recarvisi con l'autobus perché rimarrebbe proibita la guida in uno stato alterato dalla droga, la cessione ai minori sarebbe vietata e per il possesso è stabilita una minima quantità. Vogliamo ipocritamente pensare che questo sarà possibile? Si può razionalizzare il comportamento tossicodipendente ed evitare l'eccesso a cui inevitabilmente conduce? I genitori dovranno vigilare affinché i figli coltivino sul balcone soltanto le cinque piantine concesse dalla legge e non dieci? Quello che cambierà sarà soltanto l'immaginario giovanile. La droga di stato modificherà la loro coscienza morale. La riterranno meno nociva, avranno meno vergogna e senso di colpa e quindi meno limiti. Questo danno non quantificabile si rifletterà sulle future generazioni.
Non ci sarà più il proibito, che tale è e tale dovrebbe rimanere per confinare certe trasgressioni proprie dell'adolescenza e non solo. Si legifera perché c'è il lucro e allora ben venga l'eccesso. Fatta la legge trovato l'inganno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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