Allo Stato il "tesoro" della banda della Magliana

Sequestrati beni per 25 milioni al boss Diotallevi, al centro di mille misteri della storia italiana

Allo Stato il "tesoro" della banda della Magliana

Roma Il tesoro della banda della Magliana finisce nelle casse dello Stato. Confiscati beni per 25 milioni di euro al boss Ernesto Diotallevi. Fra questi un attico con affaccio su Fontana di Trevi e una villa sull'Isola di Cavallo, in Corsica. Un personaggio chiave nei mille misteri d'Italia, Diotallevi, che da facchino ai Mercati generali, primi anni '70, diventa il re di Porto Rotondo. Il vero «Dandi» dei bravi ragazzi della Magliana a cui piacciono Mario Schifano e Giacomo Balla. Il suo numero di telefono viene trovato in tasca di Danilo Abbruciati, il «Camaleonte», quando viene ucciso a Milano nel 1982 durante l'attentato a Roberto Rosone, il vice di Calvi alla guida del Banco Ambrosiano. Uscito pulito dal processo per l'uccisione dello stesso Calvi, Diotallevi vanta amici «illustri». Come Domenico Balducci, Memmo il cravattaro, che a piazza Campo de' Fiori «vende soldi». O Giuseppe «Pippo» Calò, il cassiere di Cosa Nostra nella capitale, che gli fa da padrino al figlio Mario.

Una storia da serie tv. Dalle cassette di frutta scaricate in via Ostiense Diotallevi si fa strada nel campo dell'edilizia. E non solo. Nel 1969 il primo arresto per scippo: in carcere conosce personaggi come Abbruciati, il testaccino legato ai mafiosi siciliani. Per Diotallevi va tutto a gonfie vele nonostante gli arresti e i pentimenti della storica banda. Ma fra lui e il crack dell'Ambrosiano, nonostante la verità processuale, i legami restano. È Diotallevi a consegnare a Calvi, tanto per dirne uno, il falso passaporto intestato a Gianroberto Calvini con cui il finanziere arriverà a Londra nella sua ultima disperata fuga. Secondo i pm Luca Tescaroli e Maria Monteleone, con il faccendiere Flavio Carboni (accusato di essere uno dei mandanti dell'omicidio Pecorelli), con Pippo Calò e altri «avvalendosi delle organizzazioni di tipo mafioso - si legge nel capo di imputazione - denominate Cosa nostra e Camorra, cagionavano la morte di Roberto Calvi». Accusa caduta definitivamente nel 2007.

Dagli accertamenti di Guardia di Finanza e Ros Diotallevi sarebbe stato «a capo di una complessa e insidiosa realtà criminale» scrivono sull'ordinanza di sequestro. I magistrati della Corte d'Appello sottolineano il fatto che Diotallevi è considerato uno dei capi storici della Banda della Magliana: «Negli anni si è posto con disponibilità ampia e continua verso le richieste dei consociati con una posizione di jolly, (...) al di sopra delle stesse associazioni mafiose. Non è mai stato condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso a fronte di fatti, non ipotesi o favole o asserzioni di principio, che trovano supporto sia nelle dichiarazioni di vari importanti collaboratori di giustizia, sia nelle sentenze di assoluzione o di parziale condanna che lo hanno riguardato».

Sulla sua presunta appartenenza alla banda di Renatino&Co Diotallevi non ci sta e all'uscita di una delle tante udienze ai cronisti dice di non essere un boss. «Basta scrivere che trafficavo droga e facevo l'usuraio. Io odio gli usurai, i magnaccia e le spie».

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