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Stipendi ko per troppe tasse: l'Italia è al quinto posto

Il cuneo fiscale è al 47,8%, uno dei più alti tra i paesi Ocse Un «regalino» alle famiglie fatto dai governi di sinistra

Stipendi ko per troppe tasse: l'Italia è al quinto posto

L'Italia, secondo i dati dell'Ocse, ha il quinto posto nella graduatoria dei paesi sviluppati, per la tassazione dei salari che, fra imposte sul reddito e contributi sociali sul datore di lavoro e sul lavoratore, nel caso di una famiglia monoreddito senza figli, raggiunge il 47,8% del totale, ossia quasi la metà del costo del lavoro. Più avanti ci sono solo il Belgio, che stacca tutti con il 54%. Poi ci sono la Germania, l'Ungheria e la Francia che sono fra il 48 e il 47%, a una incollatura dall'Italia. La media Ocse, per la famiglia monoreddito senza figli è molto più bassa: il 36% ed è degno di nota che ad abbassarla concorrono tre stati nordici ossia Danimarca, Olanda e Norvegia con un cuneo fiscale del 37-36% fra costo del lavoro lordo di imposta sul reddito e contributi sociali e retribuzione netta che rimane al lavoratore. Ancora più in basso troviamo Stati Uniti, Regno Unito e Canada con un cuneo fiscale sul lavoro attorno al 31%. L'Italia, non contenta del quinto posto per la famiglia monoreddito senza figli sale al terzo per la monoreddito con due figli; sopra a una incollatura ci sono solo la Finlandia on il 39,2 e la Francia.

Il paradosso è che i nostri record derivano dai governi di sinistra di origine cattocomunista, che si sono succeduti per gran parte della seconda repubblica: e non hanno, a quanto pare, gran considerazione per la famiglia. Nel nostro cuneo fiscale record gioca particolare la tassazione personale del reddito dei lavoratori. Ciò anche perché ci si continua a focalizzare sula riduzione dei contributi sociali, indubbiamente gravosi, ma almeno destinati al bilancio dell'INPS, che non è in brillanti condizioni. Mentre non si pensa a ridurre la progressività dell'imposta personale sul reddito che grava in gran parte sui redditi da lavoro. L'aliquota iniziale dell'Irpef è del 23% con una «no-tax area» (ossia esonero dal tributo) di 8 mila euro per ogni lavoratore dipendente. L'aliquota sopra i 15 mila per i lavoratori dipendenti sale al 28% per lo scaglione di reddito da 23 a 27 mila euro mentre la «no tax area» si riduce. Sopra questo livello l'aliquota sale al 33% mentre la «no tax area» si riduce ancora.

Poi la progressività aumenta rapidamente sino al 43%. E a ciò si aggiungono le addizionali locali. La pressione fiscale sul Pil in Italia nel 1994, alla fine della I Repubblica era al 38% e scese al 37% con il primo governo Berlusconi. Poi con i governi di centrosinistra è man mano aumentata. Con l'ultimo governo Berlusconi nel 2011 era al 42,5% del Pil. Nel 2015 è stata del 43,5. E la manovra di 3,4 miliardi che ora il governo vara è quasi tutta costituita da aumenti di imposte. La spesa rimane al livello stratosferico di metà del Pil, il debito non scende in rapporto al PIL. E sopra il 132% del Pil ed è il secondo più alto di Europa dopo quello greco. Non è vero che la pressione fiscale sul lavoro non si può ridurre, o lo si può fare solo aumentando altre imposte, perché altrimenti aumentano deficit e debito. In particolare il cuneo fiscale sul lavoro si può ridurre con riforme intelligenti del mercato del lavoro e della tassazione personale sul reddito, che generano maggiore gettito tramite una maggiore occupazione ed una maggiore produttività che comporta maggiore crescita. La Germania fra il 2000 e il 2015 ha ridotto il cuneo fiscale medio per il complesso dei lavoratori dal 52,86% al 49,51. E' ancora alto, ma c'è stato un progresso. E grazie all'aumento dell'occupazione e del Pil le famiglie con un solo lavoratore sono diventate molto rare. In Svezia nel quindicennio il cuneo fiscale è sceso dal 50,14 al 42,71; in Danimarca dal 42,5 al 36,45; in Olanda dal 40, 11 al 36,19.

La lezione è chiara: moderando i tributi, si può avere uno stato socialmente avanzato, con bilanci in ordine e crescita.

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