Roma - Già solo la parola, nazionalismo, gli fa venire l'orticaria. «Io sono avanti negli anni- dice Sergio Mattarella - sono nato durante i bombardamenti e, forse per questo, mi è rimasta un'innata diffidenza, un'idiosincrasia verso qualunque pericolo di nazionalismo e di guerre». Quanto poi alla contabilità europea, alla minaccia del governo di non pagare più le quote se non Strasburgo non ci concederà un po' di flessibilità sul bilancio, l'irritazione presidenziale si trasforma in un vero fastidio: basta mercanteggiare, «i benefici dell'integrazione non sono quasi mai monetizzabili interamente». Quindi, ragazzi, diamoci una calmata. «Corriamo il rischio di riproporre dentro l'Unione un clima che non è soltanto concorrenziale ma di contrapposizione, che poi diventa contrasto, poi ostilità, poi non sappiamo più cosa».
La baruffa tra Di Maio e Moscovici sul populismo, il botta e risposta tra Draghi e Salvini sulla Finanziaria («C'è un pò di tira e molla con Bruxelles, Draghi, la Corte dei Conti, l'Inps, l'Istat. Vedremo chi avrà la testa più dura», ha rincarato in serata il vicepremier leghista), lo scontro tra il ministro dell'Interno e il lussemburghese Asselborn sull'immigrazione. Visti dall'ottica del Colle, questi sono tanti, ripetuti brutti segnali, la dimostrazione che l'Italia sta finendo all'angolo proprio nei giorni in cui a Roma di lavora e si litiga sulla Finanziaria e le sue coperture. Il capo dello Stato è preoccupato. Nelle prossime settimane il governo dovrà presentare nei dettagli numerici la sua manovra e la condizione di isolamento in cui ci stiamo ficcando non aiuterà a fare quadrare i conti. E il pericolo non verrà da Bruxelles, ma dai mercati.
Dunque, «occorre riflettere», spiega Mattarella, perché l'integrazione europea «è un valore e non c'è movimento che possa metterlo in discussione». Il capo dello Stato parla a Riga al vertice del gruppo Arraiolos che riunisce i presidenti di 13 Paesi Ue. «L'Italia è un contributore attivo dell'Unione. Ma mi sono sempre rifiutato di considerare questi rapporti sul piano del dare e avere, non è attraverso il calcolo contabile che si definisce il vantaggio che l'Unione assicura a tutti i suoi componenti». Insomma, «il nostro futuro è in comune».
Poi certo c'è il problema del consenso, della scarsa simpatia dei cittadini nei confronti delle istituzioni europee. «I traguardi raggiunti sono molto precari, ora tutto è messo, oggi, in discussione e in crisi». Bisogna fare di più per la gente. «Noi dobbiamo far comprendere, in maniera palese ed evidente, alle nostre pubbliche opinioni, ai nostri concittadini, che anche le realtà attuali, il mercato unico, lo spazio Schengen, l'unione monetaria, rispondono a questo stesso spirito, hanno lo stesso obiettivo: mettere in comune il futuro degli europei».
Attenzione quindi a non favorire le separazioni «in nome del nazionalismo»: e qui l'allusione ai flirt di Salvini con i movimenti populisti e xenofobi, alle intese con il gruppo di Visegrad, appare evidente. La storia insegna e «ci parla di un il Novecento con un continente diviso, di totalitarismi, lutti e guerre». Perciò «è irrinunziabile riprendere l'integrazione, soltanto così l'Europa sarà autorevole e potrà spandere stabilità, progresso e benessere».
E prima di lasciare la Lettonia, Mattarella visita il nostro contingente di stanza alla base Nato di Adazi. Si tratta, spiega a chi ha criticato la presenza italiana in una missione malvista da Mosca, di una testimonianza di «solidarietà con paesi amici e alleati per mettere in comune la sicurezza».
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