Dopo i social network, ora gli spot sono arrivati anche sulle tv nazionali. Promettono di svelarti il tuo albero genealogico, la predisposizione a certe patologie, persino la compatibilità biologica con il partner. Fanno leva sulla curiosità, e sulla segreta speranza di ciascuno di avere origini esotiche. Quello dei test genetici fai-da-te sta diventando un business: sono economici (si va dai 50 ai 200 dollari, a seconda dei servizi richiesti), non invasivi (si passa un tampone all'interno della guancia e il gioco è fatto) e i risultati sono disponibili online dopo pochi giorno o al massimo qualche settimana. L'anno scorso, solo negli Stati Uniti, 12 milioni di persone hanno condiviso il proprio Dna con le apposite piattaforme che si stanno moltiplicando sul web, pari a una persona su 25. Una delle prime ad aver fiutato gli affari è stata «23andMe», startup americana partecipata da Google, che ha recentemente comunicato di aver raggiunto i 7 milioni di clienti. «FamilyTreeDna», anche lei statunitense, ha tagliato il traguardo dei 3 milioni. «MyHeritage», con base in Israele, è invece nata come un social per mettersi in contatto con i propri famigliari sparsi per il mondo. Ora, al prezzo di 90 euro (ma per la festa della mamma c'era un'offerta speciale a 69), spedisce per posta in tutto il mondo i kit per i test genetici. Ma non tutti sono convinti dell'attendibilità del metodo e dell'effettiva tutela delle informazioni (molto) personali affidate a queste società. Tra gli scettici c'è anche il Garante della privacy, Antonello Soro: «È opportuno riflettere bene - spiega - prima di condividere in rete i dettagli del proprio patrimonio genetico». Nell'informativa presente sul sito di «MyHeritage» si scopre ad esempio che, nel caso di clienti minorenni, «ci si affida al giudizio dei genitori o dei tutori» per il consenso all'uso del servizio, senza alcuna ulteriore verifica. Se la società, invece, verrà acquisita, trasferita o dismessa, totalmente o in parte, «le informazioni personali costituiranno automaticamente uno dei beni oggetto di trasferimento». In altre parole, il patrimonio accumulato di dati sensibili potrebbe finire nelle mani di qualunque ipotetico compratore.
«Ci siamo preoccupati del caso Facebook e Cambridge Analytica, ma questo fenomeno è ben più preoccupante», commenta Riccardo Giannetti, esperto di privacy e manager di Inveo, organismo accreditato per la certificazione della data protection -. Queste piattaforme aprono orizzonti inquietanti sull'invio dei propri dati a soggetti che non informano nei termini di legge sul loro trattamento, non si sa quale uso ne faranno e non si sa su quale base restituiscano o conservino le informazioni richieste».
Per quanto riguarda gli scopi di questi test, il rettore dell'università di Tor Vergata e componente del Comitato nazionale per la biosicurezza della presidenza del Consiglio, Giuseppe Novelli, è categorico: «I test genetici servono se effettuati per diagnosticare una malattia, trovare una predisposizione genetica, valutare l'efficacia di farmaci come quelli anti-cancro o individuare portatori sani di una patologia genetica», spiega il genetista. Il resto ha un valore «del tutto probabilistico».
Come d'altronde ha dimostrato uno studio dell'americana Ambry Genetics pubblicato dalla rivista Genetics in Medicine, secondo cui nel 40% dei casi i kit in questione forniscono risultati sbagliati. Ma che i curiosi malcapitati prendono come veri. Finendo magari per farsi condizionare nelle abitudini alimentari e nello stile di vita.
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