S eimila e cinquecento imprese in meno. Nei primi sei mesi di quest'anno le attività artigiane sono diminuite di 6.564 unità, nonostante la leggera ripresa registrata nel secondo trimestre. Tra il 2017 e il 2018 l'emorragia è stata ancora maggiore: oltre 16.300 imprese artigiane perse.
Al 30 giugno scorso, il numero complessivo di imprese era arrivato a quota 1.299.549. Fatta eccezione per il Trentino Alto Adige, in tutte le altre regioni italiane il saldo primo del primo semestre è stato negativo. Dati preoccupanti in Emilia Romagna (-761), in Sicilia (-700) e in Veneto (-629). Il dossier firmato dall'Ufficio studi della Cgia fotografa un trend di crisi delle aziende artigiane che dura ormai da 10 anni. Tra il 2009 e il 2018 hanno chiuso 165.600 attività.
«La crisi, il calo dei consumi, le tasse, la mancanza di credito e l'impennata degli affitti - spiega il coordinatore dell'Ufficio studi Paolo Zabeo - sono le cause che hanno costretto molti artigiani a cessare l'attività. E per rilanciare questo settore è necessario, oltre ad abbassare le imposte e ad alleggerire il peso della burocrazia, rivalutare il lavoro manuale».
Uno dei tasti dolenti è la scarsa specializzazione: «L'artigianato è stato dipinto come un mondo residuale, destinato al declino e per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell'orientamento scolastico e nell'alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese. Oggi, invece, sono percepiti dall'opinione pubblica come scuole di serie b. Per alcuni, infatti, rappresentano una soluzione per parcheggiare per qualche anno quei ragazzi che non hanno una grande predisposizione allo studio.
Per altri costituiscono l'ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o nelle scuole tecniche, di conseguire un diploma di scuola media superiore».
Infatti sono molti gli imprenditori che continuano a segnalare difficoltà nel trovare personale nel settore. «Soprattutto al Nord, si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti di mezzi pesanti, i conduttori di macchine a controllo numerico, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i battilamiera - sottolineano dalla Cgia - Senza contare che nel mondo dell'edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri. Più in generale, comunque, l'artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i vecchi saperi. Alla base di tutto, comunque, rimarrà il saper fare che è il vero motore della nostra eccellenza manifatturiera».
Nella crisi del settore preoccupa ancora di più la prossima legge di bilancio e il rischio dell'aumento dell'Iva per le clausole di salvaguardia: sterilizzarle richiede coperture pari a 23 miliardi e l'incertezza politica crea allarme.
«Se non si disinnescherà l'aumento dell'Iva, l'innalzamento di 3 punti percentuali sia dell'aliquota ordinaria che di quella ridotta rischia di provocare degli effetti molto negativi sul fatturato di queste attività che vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie».
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