Il titolo è di quelli che accendono speranze: «Bonus bebè, più soldi per le famiglie. Primo figlio, 160 euro». La posizione è nobile: apertura di prima pagina de la Repubblica, da alcuni mesi schierata entusiasticamente sulla nuova linea filogovernativa e filorenziana, condivisa con La Stampa. Le pagine interne raccontano «il piano» e corredano il tutto con una intervista al ministro Beatrice Lorenzin che fa capire che più di una misura già vagliata e approvata, l'aumento dell'assegno Inps somiglia a una proposta-bandiera che l'Ncd cercherà di fare inserire nella legge di Stabilità.
Meraviglie della campagna elettorale in cui a fronte di sondaggi poco entusiasmanti per il voto nelle grandi città (e di fronte alle prime indiscrezioni su un possibile aumento dell'Iva che rappresenterebbe una stangata per milioni di italiani) Matteo Renzi, imbattibile nell'arte della promessa politica, riesce a farci sentire più ricchi e più giovani, riportandoci ai fasti delle spese senza copertura della Prima Repubblica. In questo caso non vi sono, ovviamente, certezze, al di là della notizia/indiscrezione/promessa fatta arrivare al quotidiano di Largo Fochetti. I tempi? Chissà. Se le elezioni saranno certamente tra venti giorni (e se da poco sono state approvate le unioni civili, poco gradite dal mondo cattolico), il nuovo bonus bebè potrebbe partire dal 2017. Così come non vi è certezza del destino delle variegate promesse fatte balenare in questi giorni pre-Amministrative: dal bollo auto azzerato alla flat tax per le imprese, fino a un generico tasse più basse per tutti.
Se Repubblica si porta avanti e dà pressoché per acquisito il raddoppio del bonus bebè - per le famiglie con reddito Isee, frutto della somma dei redditi di padre e madre, sotto 25mila euro - è lo stesso Palazzo Chigi a gettare acqua sul fuoco. La «smentita» però è sui generis perché solletica ulteriormente l'ottimismo per la capacità di spesa del nostro governo. Fonti di palazzo Chigi - scrivono le agenzie - sottolineano come l'ipotesi del raddoppio del bonus bebé sia, allo stato, solo una delle proposte in campo. Prioritario, sostengono le stesse fonti, è uno sguardo complessivo sugli strumenti di welfare e non una o un'altra ipotesi che, al momento, restano tali.
Parole che spingono a immaginare nuove misure come l'aumento delle detrazioni fiscali o l'allargamento della no tax area a seconda del numero dei figli. Un po' come quando Renzi nel settembre 2014 la sparò grossa promettendo mille asili in mille giorni. Da allora la situazione non solo non è migliorata, ma è addirittura peggiorata. E la Cgil Funzione Pubblica lo ricorda al premier e al ministro Lorenzin. «A fronte di 290mila fortunati che riescono ad accedere al nido, sono oltre 908mila quelli esclusi, ovviamente per ragioni diverse ma che per la gran parte hanno a che fare con il binomio scarsa offerta ed esose rette nel privato».
«Una quantità enorme di bambine e bambini ai quali non viene garantito loro un diritto» spiega il segretario nazionale Federico Bozzanca «per la carenza di strutture pubbliche o per i costi enormi delle private. Questa la chiave da rilanciare per evitare il crack demografico e non il bonus bebè».
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