La complicata retromarcia innestata dal governo prevede una serie di giochi di specchi per confondere gli spettatori. E la relazione al Senato sulla manovra, pronunciata ieri dal ministro dell'Economia Tria, ha iniziato a disporre gli specchi.
Chiedendo (a chi non è chiaro) una «operazione verità sui conti pubblici», il ministro da un lato sembra dare pienamente ragione all'Unione europea che chiede una sostanziosa correzione dei conti: «C'è la necessità di non divergere dalle regole europee», avverte. E non a causa della cattiveria di quelli che Salvini e Di Maio chiamano spregiativamente i «burocrati europei», ma a causa delle batoste che i mercati infliggerebbero all'italico popolo: deviare da quelle regole, spiega Tria, «avrebbe ulteriori effetti negativi sulla crescita e sulla politica espansiva, facendo aumentare il costo di finanziamento del debito». Occorrerebbe quindi una sterzata decisa in direzione di una «maggiore prudenza di spesa».
Ma i buoni propositi del titolare dell'Economia si fermano poi sulla soglia della realtà concreta: il resto del suo intervento è una artistica pattinata sul ghiaccio per non dire nulla, se non che la colpa dei mali italiani è dei governi precedenti, delle loro «promesse irrealistiche» e delle «politiche dei bonus» (bonus che però l'attuale governo si guarda bene dal togliere di mezzo). Di correzioni reali al pasticciaccio della manovra Tria non parla. Di cifre neppure l'ombra: non dice se il rapporto deficit/Pil verrà corretto e di quanto; non dice se i mastodontici stanziamenti destinati a misure clientelari (reddito e pensioni anticipate) saranno tagliati.
Anzi: il governo non si prende alcuna responsabilità in materia e rinvia tutto alle «decisioni del Parlamento» che «rimane il luogo istituzionale dove i miglioramenti alla proposta del governo possono essere realizzati e approvati». Un colpo al cerchio, con la invocazione del «dialogo con la Ue», e uno alla botte: «Non rinunceremo alle nostre priorità», sia pur «valutando attentamente i loro costi effettivi». Il tutto sufficientemente vago e utile a prender tempo da far dire sia a Salvini che a Di Maio che sono d'accordo con Tria.
Dal Quirinale, che segue passo passo la situazione e dove ieri Tria è salito per un colloquio, si cerca di guardare al bicchiere mezzo pieno, sottolineando che tutto ciò che serve ad «evitare il muro contro muro» e ulteriori «rischi» per l'economia italiana è positivo. Mattarella però invia un richiamo forte e preciso al governo Conte: «Senza finanze pubbliche solide e stabili non è possibile tutelare i diritti sociali in modo efficace e duraturo», ammonisce, ricordando che «il bilancio dello Stato è un bene pubblico». Il Pd attacca duramente il ministro per gli attacchi ai suoi governi: «Si è coperto di ridicolo in aula», sferza Matteo Renzi.
Da Forza Italia Renato Brunetta si chiede: «Saranno in grado Tria e Conte di portare avanti la operazione verità evocata e di prendere la situazione in mano, allontanandosi da populismo, sovranismo e antieuropeismo ed evitando all'Italia, in extremis, l'umiliazione del commissariamento?». La capogruppo Bernini apprezza «l'approccio» meno «muscolare» del ministro, ma stigmatizza «l'ipocrisia» di rinviare la palla al Parlamento per allontanare dal governo «la responsabilità della retromarcia».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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