Ore 9. Dalla «busta 1» esce la foto del 16 ottobre 1968, cinquantuno anni fa, nello stadio di Città del Messico: i velocisti statunitensi Tommie Smith e John Carlos arrivarono primo e terzo nella finale dei 200 metri piani alle Olimpiadi. Sul podio i due alzano il pugno in segno di protesta contro l'apartheid. Parte da qui l'esame di Giorgio, maturando milanese: «È stato lo spunto per parlare di razzismo». Un esame brillante. Alla fine sono tutti soddisfatti: Giorgio, i professori e i genitori di Giorgio che attendono fuori dalla scuola. Ma è un'eccezione. La regola andata in scena ieri è quella della «sindrome della volpe». Quando l'animale, di notte, taglia la strada rimanendo immobile davanti ai fari accesi dell'auto che la sta investendo. L'immagine veniva in mente assistendo tra silenzi, dubbi e imbarazzi alle prove orali di Maturità del nuovo corso introdotto dal «Rito Bussettiano» (dal nome di Renato Bussetti, responsabile Miur del governo Conte). Nel giorno degli esami (quelli che una volta si chiamavano Esami di Stato, con tanto di maiuscole) le «volpi» erano i maturandi («Da dove comincio?...»), mentre gli «automobilisti», sorpresi davanti all'imprevisto ostacolo, erano i membri delle commissioni («...Faccia lei, ma stia calma...).
Già, ma che fare dopo l'apertura di una delle tre buste «a sorpresa»? Nella maggior parte dei casi i ragazzi si sono paralizzati davanti ai fari accessi dai docenti, mentre questi ultimi non sapevano esattamente quale manovra effettuare.
Ne sono scaturite traettorie tragicomiche che - al di là delle ottime intenzioni di chi ha ri-ri-riformato la Maturità - necessitano di sostanziali aggiustamenti.
Intendiamoci: l'idea di sottrarre il colloquio orale al monopolio sterile dello schema domanda-risposta è apprezzabile, ma sostituire completamente le interrogazioni vecchio stile con non meglio precisati «materiali di spunto» è sbagliata. Le domande rappresentano il senso più profondo dell'evoluzione umana. Senza domande non avremmo avuto le risposte che ci hanno regalato il progresso. Rinunciare alle domande equivale a rinunciare a noi stessi; soprattutto quando - in alternativa alle «superate» interrogazioni - dai vertici ministeriali giungono opzioni vaghe e confuse.
Il Miur nei giorni scorsi ha messo in rete un video «chiarificatore» che è lo specchio di un burocratismo progettuale (e sintattico) ancora - purtroppo - imperante: «Le buste per la prova orale non conterranno domande, ma testi, documenti, esperienze o problemi. Seguirà un momento in cui il candidato parlerà delle competenze trasversali e dell'orientamento. Il colloquio proseguirà sui temi di Cittadinanza e Costituzione e si concluderà con un discorso sulle prove scritte». Un messaggio che - secondo gli esperti del ministro Bussetti, diplomato Isef - doveva servire a chiarirci le idee, ma che invece ce le hanno maledettamente confuse. L'unica frase di lineare comprensione è: «il colloquio si concluderà con un discorso sulle prove scritte». Per il resto siamo nel marasma assoluto.
Ieri a rimanere perplessi dinanzi ai contenuti delle buste «1», «2», «3» erano tanto i maturandi quanto i commissari d'esame.
Tra le prove orali cui abbiamo assistito davvero in pochi casi esaminatori ed esaminati sono riusciti a realizzare l'obiettivo della riforma. Va detto però che, quando il miracolo della prova orale «interattiva» si compie, lo spettacolo è davvero gratificante: sia per i candidati, sia per gli esaminatori.
Partire da una foto o da una citazione per fare un discorso complessivo trovando relazioni tra varie materie è una scommessa avvincente che presuppone docenti motivati e studenti appassionati.
E la scuola italiana, pur tra le sue mille difficoltà, ha sia gli uni che gli altri. È da questo patrimonio che bisogna ricominciare per una Maturità che renda davvero tutti più maturi.Magari senza «vietare» ai docenti il diritto-dovere di porre domande. Possibilmente intelligenti.
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